nostro inviato a Frascati
E va bene che sul ciclismo possono camminare tutti come su un comodo tappetino, ma diamine: c'è un limite. Quel che succede nella tappa di Frascati - e chissà se è solo un caso che succeda proprio fuori dalle osterie - oltrepassa brutalmente questo limite, sfondando direttamente nella magica dimensione del grottesco. Protagonista assoluto della giornata, molto più di Forster che vince la tappa e di Petacchi che la perde, è il popolare Ettore Torri, capo della Procura antidoping del Coni. Costui è l'inquirente che con aria da tenente Sheridan sta riempiendo giornali e telegiornali d'Italia, braccando senza quartiere il gangster Ivan Basso. Come noto, nelle ultime ore ha sollevato un polverone del diavolo raccontando che Basso avrebbe ritrattato per paura. Da legge del Bronx la motivazione: «Nel ciclismo, se canti, finisci nel fosso».
Per farla breve: da un paio di giorni non si parla d'altro. Al Giro d'Italia, in particolare, i cronisti si sbattono per stanare la mafia del gruppo. Inchieste, interviste, dibattiti. Lo scenario che ne esce è di un gruppo spietato e sanguinario, pronto ad assassinare il traditore che eventualmente s'azzardasse a cantare. Prima «tutti drogati», adesso «Chicago anni Trenta». Manca solo che si accusi il gruppo di pedofilia e traffico d'organi. Vai a sapere: magari, con calma, ci arriviamo.
Questo il quadro degli ultimi giorni. Questo il clima che aleggia sul caso Basso. Poi, la coincidenza del Giro che arriva nell'orbita romana. Con puntualità svizzera, l'allegra compagnia del teatro antidoping si presenta sul traguardo e con l'abile regia Rai mette in scena la sua incredibile commedia dell'assurdo. Ci sono proprio tutti: capocomitiva la ministra Melandri, ultimamente assurta al rango di vestale dello sport pulito. Sulla sua presenza, però, non mi si venga a chiedere un resoconto: posso testimoniare che parla molto, prima al Processo e poi in conferenza-stampa, ma francamente non afferro alcunché. Direi un'esemplare prova di veltronismo effimero e sottovuoto. L'unico fatto concreto che posso riferire è il dono di una maglia da ciclista per il suo compagno, dipinto da lei stessa come appassionatissimo e competentissimo. Altro mi sfugge. Dev'essere per ignoranza mia.
O forse no: forse sono solo stordito dalla prova dell'altra guest-star di giornata, il procuratore Torri. Non c'è alcun dubbio: sua la prova più eclatante. Negli almanacchi del ciclismo, resterà scritta a caratteri cubitali come l'impresa di Frascati (ribadisco: chissà se è solo un caso, proprio qui). Da rivedere al replay. Su precisa domanda di Marino Bartoletti, il tenente Sheridan precisa i dettagli della sua recente dichiarazione sismica. «L'ipotesi del corridore che finisce in fondo al fosso non è di Basso. È mia. Una mia ipotesi». Gelo in sala. Ma come: e il polverone degli ultimi giorni, e le inchieste sulla mafia del gruppo, e l'ulteriore colata di fango su Basso? «Una mia ipotesi, sia pure espressa forse in maniera poco felice. L'ho avanzata sulla base del colloquio con Basso. Tra i motivi della sua prudenza, ho pensato anche questo».
Titolo: il procuratore ritratta. Punto. Fine. Non c'è altro da aggiungere. La gita sui Colli della comitiva antidoping si chiude portandosi dietro una domanda inquietante. Questa: ma in che mani siamo? Il procuratore Torri, dipinto dai giornali amici come schivo Torquemada assetato di verità e di giustizia, vive ormai più in conferenza stampa che nel segreto del suo ufficio. A noi tutti hanno sempre insegnato che un investigatore deve agire nell'ombra e nel silenzio, se vogliamo anche nel rispetto di inquisiti e testimoni. Il tenente Sheridan del Coni, invece, parla a ruota libera e fa pure danni.
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