Caso Cattelan Mostra dimezzata: sindaco e artista senza coraggio

Tanto tuonò che piovve. E così l’evento clou dell’autunno artistico italiano si ridimensiona clamorosamente in una mostrina farlocca, inadatta per una città come Milano e imbarazzante per un artista quale Maurizio Cattelan, dai più reputato la punta di diamante del nostro attacco già di per sé deboluccio.
Invece dell’annunciata retrospettiva (formula che peraltro il padovano non ama) che prometteva almeno dieci lavori, ci troveremo con solo quattro opere, e pure a tempo limitato. Tre di queste sono arcinote, avendo girato i musei di mezzo mondo: La Nona Ora, scultura di Wojtyla schiacciato a terra dal meteorite, che esordì dieci anni fa ad Apocalypse di Londra per tornare alla Biennale di Venezia. Quindi la donna crocefissa, più di un Cristo sembra una tortura della Santa Inquisizione, e ancora l’autoritratto dell’artista da bambino, mentre beffardo suona un tamburello. Saranno esposte solo per un mese (dal 24 settembre al 24 ottobre) a Palazzo Reale, appena quattro ore al giorno, il massimo dello scandalo tollerabile dal sindaco Moratti e dalla sua giunta, che sulla cultura in toto e sui progetti espositivi in particolare davvero non hanno le idee chiare. Infatti c’è ancora la possibilità che cambino idea.
In quanto alla pietra dello scandalo, l’inequivocabile dito medio alzato, resterà in Piazza Affari per dieci giorni e poi basta. Un bel «vaffanculo» a tempo determinato, frutto del cervellotico compromesso tra chi difende la libertà dell’artista e chi se la fa sotto per le possibili reazioni dei benpensanti lumbard che non amano insulti né provocazioni se accostati ai dané.
Non ci sarà così bisogno di scomodarsi per recensire il ritorno «istituzionale» di Cattelan a Milano. Non di mostra si tratta ma di simulacro espositivo, ben costruito mediaticamente sull’attenzione e sulla persistenza della notizia sui giornali. Questa salomonica decisione del «Maurizio dimezzato» getta una pesante ombra sui principali attori della vicenda, a cominciare proprio dall’artista, solitamente fermo e rigoroso, disponibile a mettere da parte il suo proverbiale egocentrismo per accettare un compromesso ridicolo. Proprio lui, il master della burla, capace ogni volta di sorprendere attraverso interventi mirati e ficcanti, è costretto a compiacere il Comune di Milano a costo di veder ridotta la sua cattiva ispirazione.
Si è lamentato a mezzo stampa Cattelan, definendo quella meneghina «un’amministrazione di roditori che ha rosicchiato tutto il possibile» e rivelando che «in vent’anni non mi era mai successo niente del genere». Una mostra che alla fine si farà grazie ai giornali, dice lui, per l’attenzione dedicata alla vicenda. Mastica amaro, non te la manda a dire, eppure mette da parte l’orgoglio e accetta il ridimensionamento quando altrove, ne siamo certi, avrebbe sbattuto la porta.
Per capirci meglio bisognerebbe essere nella testa di Letizia Moratti e dei suoi più stretti collaboratori. Qualcuno avrebbe dovuto dirle che Milano - l’unica metropoli italiana senza un museo pubblico d’arte contemporanea - ci fa una pessima figura. La forza di Cattelan sta proprio nella sua capacità diabolica di provocare: perché chiamarlo, allora, se non se ne condivide la poetica? Sarebbe come invitare a suonare i Sex Pistols impedendo loro di eseguire God Save the Queen: tanto valeva allora ingaggiare i Negramaro, bravi e consolatori.
Il Sindaco è attratto dai caratteri forti, si fa sedurre dal loro carisma, poi strada facendo decide che non li sopporta più, erode il loro spazio di manovra e li costringe a inquietanti amministrazioni controllate. Prima nomina assessore alla cultura Vittorio Sgarbi, operazione eccellente dal punto di vista mediatico, quindi mal ne sopporta il genio ribelle e incontrollabile: lo bacchetta tutti i giorni, lo cazzia se propone l’arte omosessuale e lo sfiducia pubblicamente per non deludere una parte della sua giunta. Ora tocca a Cattelan: troppo forte la tentazione di averlo, altrettanto quella di dettare lei le regole del gioco. In mezzo ci è finito l’assessore Massimiliano Finazzer Flory, la cui pazienza giobbesca sembra arrivata al limite.

Le voci di sue dimissioni sono sempre più insistenti. Se così fosse, la Moratti potrebbe riprendersi l’interim alla cultura, già gestito in precedenza, per portare Milano all’Expo 2015 senza scandali e nella solita, banale, calma piatta.

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