Caso Cirio, tutte le anomalie dell’assoluzione del Professore

Pm trasferiti e minacciati, escamotage per evitare conflitti di interessi all’allora manager. E quella perizia della Procura che lo chiama in causa

Caso Cirio, tutte le anomalie dell’assoluzione del Professore

Gian Marco Chiocci

da Roma

Prodi assolto perché il fatto non sussiste? La sentenza che lo riguarda (Sme-Cirio) dice effettivamente così, ma i fatti che riguardano la sua vicenda processuale vanno raccontati per bene perché la storia della privatizzazione del colosso agroalimentare Sme-Sidalm - gestita dal Professore - è costata allo Stato italiano ben 7.344 miliardi di vecchie lire. Cifra enorme, che incidentalmente trova conforto nella perizia depositata a Milano dall’ingegner Carlo De Benedetti (a cui Prodi provò a cedere l’intera Sme per 497 miliardi rispetto agli oltre 3mila miliardi stimati) che pretendeva da Berlusconi un risarcimento di 4 milioni e mezzo di euro.
A proposito della sentenza oggetto di accese discussioni, Romano Prodi si è affidato a una nota scritta per difendersi dall’accusa di aver beneficiato di una legge «ad personam» che sotto il suo governo, e durante il corso del suo giudizio innanzi la procura di Roma, di fatto stravolse e ridimensionò la pena prevista dall’articolo 323 del codice penale (l’abuso d’ufficio), proprio il reato di cui era chiamato a rispondere il Professore. «La riforma dell’abuso d’ufficio - si legge nel testo divulgato dallo staff del leader del centrosinistra - era prevista nei programmi di tutte le forze politiche presentatesi alle elezioni del 1996. Il lavoro era infatti già stato avviato da diversi gruppi parlamentari e dal governo Dini. Il provvedimento nasceva quindi non per iniziativa governativa ma per iniziativa parlamentare». Fabrizio Cicchitto di Forza Italia, non ha perso tempo e gli ha risposto così: «Sulla sua assoluzione, Prodi mente sapendo di mentire: è stato assolto perché il fatto non sussiste solo per la modifica legislativa dell’abuso d’ufficio». Sia come sia, il ridimensionamento di quello specifico reato, in quel particolare momento storico, consentì al gip Landi di applicare la nuova norma in favore dell’imputato Romano Prodi. Che uscì indenne dal processo.
Eppure, a seguito di svariate denunce dell’imprenditore campano Giovanni Fimiani (vincitore di fatto della gara per la Sme, poi affossata dall’Iri di Prodi) erano stati evidenziati ben altri fatti consumati nell’intera privatizzazione del pacchetto Cirio-De Rica-Bertolli. Una serie di anomalie su cui non si è fatta mai luce nonostante le indagini avviate dalla Procura di Salerno che per prima indagò su Prodi e che poi fu costretta a girare il fascicolo a Perugia per competenza territoriale (dove l’inchiesta si è arenata). Per la cronaca, un esposto-denuncia di Fimiani sulla Sme-Cirio nel quale si chiede la riapertura del caso, pende ancora presso la Procura generale della Corte d’appello di Roma.
Tornando all’inchiesta di Salerno forse non tutti sanno che il pm Raffaele Donnarumma venne trasferito in un tribunale all’epoca ancora inesistente (Castellammare di Stabia) mentre stava per chiedere il rinvio a giudizio proprio di Romano Prodi. Nella sua relazione del 19 ottobre 1999 indirizzata ai colleghi umbri rivelava dettagli inquietanti in merito a più «circostanze e comportamenti raffiguranti numerosi reati»: dalle attività di svendita della «CDB» ceduta alla «Fisvi» di Cragnotti per 310 miliardi di lire (a fronte di un valore che la procura stimava in oltre 1.070 miliardi) alla svendita della «Italgel» ceduta alla «Nestlè» per 437 miliardi (a fronte di un valore minimo di 1.000 miliardi). Per non parlare della cessione di «Gs-Autogrill» al gruppo Benetton per 691 miliardi (quando - secondo stime - valeva minimo dieci volte tanto) ad altre vicende legate alla compravendita di marchi minori per favorire il gruppo Cragnotti, come «Latte Sud», «Torrimpietra latte», «Solac», marchio «Castellino». Il magistrato campano non ha più potuto seguire la pratica confezionata grazie agli accertamenti (14mila pagine) del consulente tecnico Renato Castaldo che - stando a un reportage del Daily Telegraph - nel bel mezzo del caso Sme alcuni loschi figuri avrebbero provato ad ammazzare sull’autostrada. Il nome di Castaldo torna anche nella perizia dell’inchiesta romana sulla vendita della Cirio che il 24 febbraio 1996 coinvolse ancora Prodi, impegnato in campagna elettorale: l’accusa del pm romano Giuseppa Geremia puntava sull’abuso d’ufficio. Le indagini durarono nove mesi, dopodiché venne partorita la richiesta di rinvio a giudizio per il Professore e per cinque componenti del Cda dell’Iri accusati di aver avvantaggiato la società Fisvi di Lamiranda che si aggiudicherà il colosso «CDB» per poi rivenderla a Cragnotti. In questo giochetto - secondo la Procura - spiccava il ruolo di Prodi che dal 1990 era anche advisor director della Unilever, gruppo che stando alle indagini aveva gestito le trattative attraverso quella Fisvi che pur non avendo i mezzi per realizzare l’operazione acquistò egualmente la Cirio-Bertolli-De Rica. A quale fine? Consentire all’Unilever di mettere le mani sul ramo olio (Bertolli) per 235 miliardi «senza sopportare gli obblighi di natura finanziaria - come annota Ferdinando Imposimato nel libro Corruzione ad alta velocità edito da Koinè - derivanti dalla stipula del contratto di acquisto direttamente dall’Iri». Un escamotage per evitare da un lato, a Romano Prodi, problemi di conflitti di interessi (advisor Unilever, presidente Iri) e dall’altro per consentire la modifica delle condizioni di schema di contratto col risultato che si favorì l’acquirente (Unilever) senza alcun vantaggio per il venditore (l’Iri).
Con la richiesta di processare Prodi, per la Geremia iniziarono i problemi: minacce di morte, intimidazioni su utenze riservate. Il periodo coincise con un’altra sua inchiesta, quella sull’Alta velocità, dove suo malgrado il Pm si ritrovò fra i piedi la società di consulenza Nomisma. Il 7 novembre il Pm denunciò alla polizia le intimidazioni mirate, informò il procuratore capo Michele Coiro che le aveva affidato l’inchiesta e che suo malgrado finì nel tritacarne giudiziario per i rapporti (legittimi) col capo dei gip Squillante: Coiro venne tagliato fuori dopo un’inchiesta disciplinare promossa dal ministro Gian Maria Flick, avvocato e prodiano doc. La richiesta per Prodi, nel frattempo, venne stoppata dal gip Landi che giudicò insufficiente la perizia Castaldo e diede incarico a cinque esperti di stabilire quanto alla Geremia non interessava: ovvero, stabilire il prezzo del gruppo Cirio, Bertolli, De Rica. Il risultato fu che a fine ’97 il Gip assolse tutti «perché il fatto non sussiste». La sentenza, però, non venne depositata entro la data stabilita (23 gennaio 1998) cosicché la Geremia non potè impugnarla. Dice Cicchitto: «A differenza di Prodi, Berlusconi non solo non ebbe bisogno di alcuna modifica legislativa di un reato, ma non ebbe la “fortuna” che ebbe Prodi di un Gip che depositasse in ritardo le motivazioni del proscioglimento in udienza preliminare, due giorni dopo il trasferimento a Cagliari del Pm che condusse l’inchiesta. Fortuna doppia dal momento che, trasferito quel Pm, nessuno della procura pensò poi di presentare appello».

Quando fu possibile leggere le 48 pagine delle motivazioni, saltò agli occhi il passaggio relativo alla «nuova ipotesi di abuso» che alla luce delle modifiche legislative finisce per essere - scrive il Gip - «più favorevole all’imputato». Nel caso specifico, a Romano Prodi.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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