Roma - Una fuga di notizie pilotata ad arte e dall’interno, con tanto di pressioni sulla magistratura per evitare scorciatoie giudiziarie? L’ultimo retroscena sulla vicenda dell’ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, che avrebbe sottratto 13 milioni di euro dalle casse dell’ex partito poi fuso nel Pd, riguarda proprio l’ipotesi di uno «sgambetto» tra le due anime del Partito democratico. Con la componente ex Ds che avrebbe, di fatto, impedito la chiusura silenziosa e discreta (con patteggiamento) dell’indagine della procura di Roma, avviata dopo la segnalazione di operazioni sospette da parte di Bankitalia, lasciando che la notizia filtrasse alla stampa.
E costringendo - in seguito al cambio di strategia adottato a quel punto dal procuratore aggiunto Alberto Caperna e dal pm Stefano Pesce, non più orientati ad accogliere la richiesta di patteggiamento - i vertici dell’ex Margherita a finire sulla graticola mediatica per quei prelievi «a fini personalissimi» del senatore-tesoriere. Con corollario di sbeffeggiamenti da parte dei compagni di partito ex Ds, che non hanno perso l’occasione per ironizzare, anche pubblicamente, sullo scivolone dei compagni di retaggio Ppi.
L’indiscrezione arriva proprio da ambienti vicini ai molto indispettiti esponenti dell’ex partito centrista, che non fanno peraltro mistero del fastidio provocato dalla pubblicità piovuta sull’affaire Lusi, e continuano quasi ogni giorno a rimarcare come il disciolto movimento politico sia «parte lesa» nell’indagine di piazzale Clodio. Proprio in questi ambienti, tra l’altro, si arriva a sospettare che qualcuno dei «compagni di cammino» targati Ds abbia sfruttato i buoni rapporti con le toghe per osteggiare la soluzione-patteggiamento.
Ieri, dopo il tentativo di martedì della Gdf di acquisire documenti bancari per conto dei pm presso la filiale Bnl del Senato, la triade del defunto partito - il presidente Francesco Rutelli, il presidente dell’assemblea federale Enzo Bianco e il presidente del comitato di tesoreria Giampiero Bocci - ha scritto direttamente alla procura una lettera di precisazioni (rivelando tra l’altro che in cassa c’è ancora «un avanzo di gestione del partito pari a circa 20 milioni di euro») dalla quale traspare tutta l’irritazione per i risvolti-boomerang dell’inchiesta. Rutelli e i suoi, «per contribuire al ripristino delle più serene modalità di collaborazione istituzionale» in seguito alla «visita a sorpresa» a Palazzo Madama, nella missiva assicurano che «qualsiasi esigenza di acquisizione documentale verrà soddisfatta».
Insomma, consegneranno loro quegli estratti conto, ma non prima d’aver ribadito anche ai magistrati capitolini che l’ex partito è parte lesa. E lamentano, «nonostante la veste di persona offesa e la fattiva collaborazione», la «violentissima campagna stampa» che avrebbe reso l’anima centrista del Pd «vittima delle peggiori insinuazioni che stanno cagionando danni peggiori di quelli derivanti dal reato stesso». Toni molto determinati, quasi aggressivi.
Temperati, come detto, dalla manifestata disponibilità a fornire documenti e informazioni: «Qualsiasi richiesta verrà immediatamente soddisfatta». Ma «con la massima fiducia», si conclude la missiva, che da un lato «verrà adottata ogni cautela a tutela delle esigenze di riservatezza» dell’ex Margherita, e dall’altro che le toghe non «sconfinino nelle indagini» sui prelievi di Lusi.
Mentre dunque dalla revisione dei conti dei Dl si va verso la resa dei conti nel Pd, l’inchiesta, alla luce del sole, prosegue il suo corso. E va avanti anche la trattativa tra l’ex partito e il senatore Lusi, fresco di espulsione, per la restituzione del «maltolto».
Spetterà a un avvocato e a un notaio il primo passo: accertare che non vi siano debiti sulle quote della società proprietaria dei due immobili (una casa a Roma e una villa a Genzano) «offerte» da Lusi al suo ex partito come parziale risarcimento.
Tornando alle voci sullo «sgambetto in famiglia», l’aver spiattellato ai giornali la storiaccia dei bilanci col buco potrebbe aver avuto come effetto collaterale anche il nuovo atteggiamento del «reo confesso». Che dopo essersi fatto carico di tutte le responsabilità, negli ultimi giorni sembra aver corretto la rotta. Fino a dichiarare, martedì scorso, che «la verità emergerà». Ma non era già emersa?
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