Roma - «Errori certamente sì, illeciti sicuramente no». Con una lettera aperta e con un’intervista televisiva Giulio Tremonti risponde alle critiche e ai rilievi, anche aspri, che gli sono stati rivolti sull’affaire Milanese. Il ministro dell’Economia ha abitato in un appartamento del suo ex braccio destro, indagato dalla magistratura napoletana, versando un «contributo» alle spese per 4mila euro al mese in contanti. Lo scorso giugno, sull’onda dell’inchiesta sul suo consigliere politico, se n’è andato. Forse troppo tardi.
Tremonti non ci sta a far la figura di chi paga in nero, e nella lettera al Corriere della sera spiega, forse in forma un po’ troppo ragioneristica, come stanno le cose. In tv poi, a Unomattina, contrattacca: «Non ho ricevuto favori, perché non ne ho bisogno. Non mi frega nulla d’avere casa a Roma, non faccio vita da salotti. Non ho bisogno di fregare soldi agli italiani. Non l’ho mai fatto. Forse avrei dovuto stare più attento - acconsente - ma se ho fatto degli errori la scusante è che lavoro tanto per gestire il terzo debito pubblico del mondo. E vorrei continuare a lavorare nell’interesse del mio Paese».
Una linea prevedibile, quella del ministro dell’Economia: errore sì, illecito no. Ma sorprende leggere che Tremonti, in un colloquio con la Repubblica, afferma d’aver accettato di andare a vivere nell’appartamento di campo Marzio perché «in caserma o in albergo non mi sentivo tranquillo, mi sentivo controllato, spiato, persino pedinato». Ma da chi? Forse da una «cordata» della Guardia di Finanza, di cui lo stesso ministro aveva parlato al pubblico ministero Vincenzo Piscitelli in qualità di testimone per l’inchiesta P4? Se ne discuta al comitato parlamentare per i servizi, chiede Francesco Rutelli.
Quali che siano i motivi che l’hanno spinto ad accettare l’offerta di Marco Milanese, dal punto di vista formale Tremonti si sente inattaccabile. In un rapporto privato fra cittadini «non c’è obbligo di emissione di fattura». Il contante per i pagamenti settimanali veniva in parte dall’indennità di ministro (versata chissà perché in contanti), in parte dalla disponibilità del ministro stesso che, ricorda, nel 2008 aveva dichiarato redditi per cinque milioni di euro. «Tutto tracciato e tracciabile». Ma l’opportunità di questa sistemazione? Qui Tremonti ammette d’aver sottovalutato la cosa: «Con il senno di poi, ho sbagliato. Avrei dovuto stare più attento, ma - si giustifica - se devi lavorare in questo modo... gestire il terzo debito pubblico del mondo ti impegna abbastanza».
Le scuse pubbliche devono essere state un boccone amarissimo per un uomo poco abituato al mea culpa. Lo dice, del resto, in tivù: «Scusarsi? Per me è una cosa....». Poi s’interrompe, ma il significato è chiarissimo. Inoltre Tremonti sa bene che questa vicenda l’indebolisce politicamente, lo espone alle eventuali ritorsioni dei colleghi di governo finora «triturati». Un silenzio assordante da parte della maggioranza e dell’esecutivo ha accompagnato, in queste ore, gli sviluppi del caso. Il solo neo-ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, afferma che su Tremonti «c’è una fibrillazione propagandistica, e io non credo - aggiunge - che allo stato delle cose si debba dimettere». Il ministro dell’Economia, conclude Nitto Palma, «ha garantito la salvezza dei conti pubblici, ed ha una credibilità internazionale assoluta». Gli fa eco un altro ministro, Gianfranco Rotondi: «Tremonti è un gentiluomo e merita tutta la nostra solidarietà». Dall’opposizione tacciono i grossi calibri, con l’eccezione del solo Nichi Vendola che parla di «risposta minimalista e imbarazzante per affrontare la questione morale e la crisi economica del Paese».
Dalla sua parte Tremonti ha l’Europa e i mercati, e non è poco in questo momento. Giovedì scorso, gli operatori attribuivano apertamente parte della speculazione contro i titoli pubblici italiani all’ipotesi di dimissioni del ministro, adombrata senza alcun riscontro da alcuni giornali. Tremonti (che non ha alcuna intenzione di dimettersi, almeno per ora), nell’intervista a Unomattina, dice apertamente che per uscire dalla crisi «bisogna fare di più, più in fretta, ed essere più convincenti». Il suo obiettivo principale è di raggiungere il pareggio di bilancio non aumentando le tasse e riducendo la spesa pubblica, e non pensando a provvedimenti «folli, sbagliati» come l’introduzione di un’imposta patrimoniale.
Giudica «importantissimo» il documento comune per la crescita firmato dalle parti sociali, e rivela che si stanno chiedendo dei pareri alle principali organizzazioni economiche internazionali, dall’Ocse al Fondo monetario, «per vedere che cosa ci consigliano da fuori».Il pareggio di bilancio nel 2014 «ci sarà, riducendo la spesa pubblica». Ma come, dove? «Andate a vedere il film Qualunquemente, e capirete dove si può tagliare la spesa», suggerisce Tremonti.
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