RomaChi esce a pezzi dalla vicenda omertosa di Montecarlo, forse più ancora di Fini che in fondo ha ammesso lerrore, sono i suoi pasdaran. Il leader ha sconfessato di fatto tutta la linea difensiva (e di attacco al premier e al suo entourage) che i vari Bocchino, Briguglio, Granata, Perina e poi Farefuturo avevano sostenuto fin dallinizio. Intanto, sulla assoluta incertezza circa la proprietà delle off-shore, chiave di volta della storia. Fini ha dovuto ammettere di non avere nessuna certezza in merito, e di non fidarsi della sola parola di suo cognato. Ha dovuto anche riparare alle frasi di Bocchino sul coinvolgimento dei servizi segreti italiani, dicendo che «la loro lealtà è fuori discussione». Ha pubblicamente detto di essere stato «ingenuo», mentre i suoi scherani lo avevano descritto come una vittima di infami attacchi. Insomma, se Fini ha guadagnato qualcosa ammettendo le proprie leggerezze, i finiani più scalmanati sono stati sconfessati doppiamente: dai fatti emersi finora, e dalla parziale retromarcia del loro stesso leader.
Cè poi un mistero che avvolge le ultime dichiarazioni di Bocchino. Questo: come faceva ad essere certo che la casa non fosse di Tulliani, se poi Fini è il primo a dubitarne? Il capogruppo finiano è forse in possesso di informazioni che il suo leader non ha? Sarebbe una bizzarìa inspiegabile. A Bocchino va riconosciuta una qualità: il coraggio. Anche quello di esporre se stesso a clamorose smentite. È stato lui lunico che ha avuto il fegato di parlare, dopo che il ministro caraibico sembrava aver chiuso definitivamente il giallo di Montecarlo. Gli altri finiani, anche i più canterini, si erano ammutoliti di fronte a quella evidenza. Lunico che ha parlato è stato lui, e non da cerchiobottista, ma da pasdaran pronto a tutto. Sulla base di una certezza grantica: «Non cambia nulla - ha detto venerdì sera -, Fini ha la certezza che Giancarlo Tulliani non sia il proprietario della casa di Montecarlo. Ce laveva prima e ce lha ora. È falso lo scritto di quella lettera ed è falso che lappartamento appartenga a Tulliani». La casa non è di Tulliani, e Fini lo dirà chiaramente perché ha le prove di questo, ma non solo. Sappiamo per certo che quella lettera è una patacca, un falso ideologico e materiale, una trappola costruita dai servizi segreti, italiani ma forse pure un po russi e libici, che probabilmente hanno «chiesto al Ministro di Santa Lucia questo appunto». Uninfilata di accuse e dichiarazioni talmente forti che, si pensava, qualche asso nella manica devono pur averlo i finiani.
Invece? Invece, tutte le certezze a cui si riferiva Bocchino sono sparite nel corso delle successive ventiquattro ore, e Fini ha ammesso di fronte allItalia il contrario di quanto diceva Bocchino, cioè di non sapere se Tulliani è il proprietario di quellappartamento oppure no, di averglielo chiesto ma - evidentemente - di non credere solo alla sua parola. Dunque, sconfessato in pieno Bocchino, il finiano più finiano di Fini.
A questo punto succede un nuovo cambio. Bocchino perde le antiche certezze ma ne acquista di nuove. Il quesito se la casa di Boulevard Princesse Charlotte sia o no di Tulliani non riguarda più Fini, ma Tulliani, che è soltanto lo zio dei suoi figli. «Per noi la vicenda della casa di Montecarlo è chiusa qui - ha spiegato incredibilmente Bocchino ieri a mezzogiorno -. Adesso è un problema del signor Tulliani. Ora pensiamo al programma di governo».
IL CASO MONTECARLO
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