Caso Reggiani «Mailat disumano E aveva dei complici»

Il caso Reggiani non è chiuso. La sera del 30 ottobre 2007, quando Giovanna Reggiani fu brutalmente aggredita, violentata e assassinata a Tor di Quinto, a Roma, Mailat non agì da solo. Il romeno aveva dei complici. E vanno individuati. Per questo i giudici della corte di Assise d’Appello hanno inviato gli atti alla procura per completare indagini «che non furono approfondite».
Non solo: nelle motivazioni della sentenza di secondo grado che nel luglio scorso condannò il romeno all’ergastolo, inasprendo il verdetto dei giudici della corte d’Assise (che lo condannarono a 29 anni), viene sottolineata che la «fiera resistenza» opposta dalla donna al suo carnefice e assassino non può essere un’attenuante, come sostenuto dai giudici di primo grado.
Le ventinove pagine delle motivazioni scritte dal presidente Antonio Cappiello, e depositate ieri, rivisitano radicalmente la vicenda processuale dell’omicidio Reggiani. «La difesa è sempre pienamente legittima.

Non si comprende - si legge nelle motivazioni - il motivo per cui, nel caso di specie, la resistenza della vittima possa costituire un’attenuante per l’aggressore facendone scaturire l’omicidio. Mailat poteva benissimo desistere senza continuare ad usare quella disumana violenza contro la signora Reggiani, seviziandola crudelmente, violenza che ne ha causato la morte».

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