Caso Del Turco, i conti segreti del supertestimone pentito

nostro inviato a Chieti

È normale aver dato la caccia «solo» ai soldi di presunte tangenti (peraltro mai trovati) che l’imprenditore Vincenzo Angelini dice d’aver distribuito ai politici abruzzesi, e non ai 100 milioni di euro scomparsi misteriosamente dalle casse dello stesso Angelini? Ed è normale non aver dato seguito alle allarmate segnalazioni contabili sui bilanci del gruppo Angelini e sulle movimentazioni di denaro dell’imprenditore, precedenti all’arresto di Del Turco e provenienti dagli stessi periti, dai carabinieri del Nas (che Angelini volevano addirittura arrestare) dalla finanza e dalla banca d’Italia? E, soprattutto, è normale che la procura di Pescara abbia finalmente deciso di indagare per bancarotta Angelini, suo unico testimone dell’inchiesta Del Turco, solo in coincidenza dell’apertura di un’analoga inchiesta alla procura di Chieti a cui ha dovuto trasmettere gli atti per competenza? Tanto normale, per quel che il Giornale ha scoperto, non sembra.
Vediamo. Mentre da mesi i dipendenti delle sue cliniche non ricevono lo stipendio, dal deposito degli atti dell’inchiesta sulla giunta Del Turco più indizi portano a ritenere che il ras delle cliniche private abbia distratto la fantasmagorica cifra di 100 milioni di euro, anzi di 86 milioni se togliamo i 14 «fantasma» destinati agli amministratori abruzzesi. Nessuno sa dove siano finiti. Con fatica la procura di Chieti sembra intenzionata a venirne a capo. Pescara, fino ad agosto, non aveva trasmesso granché. Fra gli atti inviati c’era il primo interrogatorio di Angelini, quello del 12 aprile 2008, nel quale l’imprenditore negava qualsiasi «dazione ambientale» ai politici locali. A seguito di quell’interrogatorio la procura disporrà una perizia (anche questa girata a Chieti) sul gruppo Angelini che evidenzierà ambigue movimentazioni di denaro. Più precisamente una serie di «scambi intergruppo» fra le varie società controllate e la «Novafin» (la finanziaria di famiglia di Angelini) che controlla cliniche e centri di riabilitazione della holding della sanità. A seguito di questi scambi Angelini avrebbe fatto uscire dai conti della clinica «Villa Pini» liquidità verso la finanziaria Novafin. Inusuale, perché solitamente accadeva l’inverso. Il risiko societario riscontrato in parte anche dai carabinieri del Nas, portava in evidenza una fatturazione illecita nei confronti delle Asl competenti. Come avrebbe funzionato il raggiro? Approfittando della carenza di controlli delle apposite commissioni, Angelini avrebbe emesso queste fatture che poi avrebbe mandato in cessione presso le banche con le quali era precedentemente in accordo. Così, anche se la Regione non gli avesse riconosciuto quei crediti, lui intanto si sarebbe avvantaggiato facendosi pagare dalle banche. E così sembra essere avvenuto visto che più istituti di credito si sono ritrovati esposti con Angelini per cifre fino a 80 milioni di euro. Quella prima consulenza voluta dalla procura accertò dunque che Angelini incassava questi soldi dalle sue cliniche (che emettevano materialmente le fatture alle Asl) eppoi li trasferiva alla Novafin a patto che questa li utilizzasse per compiere investimenti. È stato così? Vediamo. Dalla lettura dei bilanci di queste controllate (spedite in procura a Pescara dai sindacati) emergeva un credito, già nel 2007, di 95 milioni di euro nei confronti di Novafin. Alcuni di questi soldi risultano da prelievi, mentre la parte più consistente, pari a 50 milioni, Angelini l’avrebbe invece utilizzata per comprare le azioni delle cliniche controllate. Per farla breve, Angelini si sarebbe comprato azioni proprie attraverso la finanziaria di famiglia.
Per venire a capo di queste complicatissime operazioni da illusionisti, la procura di Chieti comincia a muoversi in punta di piedi. A settembre 2009 i pm teatini escono ufficialmente allo scoperto e chiedono a Pescara di trasmettere tutto quel che di interessante è in loro possesso sui conti di Angelini. «Abbiamo un fascicolo aperto per bancarotta per distrazione», spiegano. La procura di Pescara prende atto e, tempo due giorni, risponde, inviando però solo una parte minima del materiale in suo possesso. Nel frattempo dal deposito delle migliaia di atti dell’inchiesta Del Turco si scopre che sempre a Pescara era stato aperto un «fascicolo stralcio» su Angelini con contestuale iscrizione sul registro degli indagati per bancarotta. Il reato, secondo il pool del procuratore capo pescarese Trifuoggi, viene accertato a giugno 2009. La cosa curiosa è che i documenti inviati a Chieti che comproverebbero questa ipotesi di reato sono tutti di un anno e mezzo prima. Tradotto, significa che per arrestare Ottaviano Del Turco e soci, alla procura di Pescara, sono stati sufficienti tre mesi, per ipotizzare una bancarotta per distrazione a Vincenzo Angelini ce ne son voluti quattordici.
Tra i filoni d’interesse della procura di Chieti (dove da giugno comanda Mennini, ex vice di Trifuoggi) vi sono una serie di operazioni bancarie sospette oltre ai già segnalati warning della banca d’Italia. Due segnalazioni, in particolare, meritano attenzione. La prima è relativa a una nota in procura della Gdf che spiega come il 31 luglio 2008, quando cioè Del Turco è ancora in carcere, Angelini deposita sul proprio conto corrente 6mila banconote da 500 euro (3 milioni in contanti) senza che nessuno gli chieda da dove li ha prelevati. Quindi, sempre la Gdf e la Banca d’Italia, segnalano che la moglie di Angelini l’8 febbraio 2008, quindi a ridosso della presunta ultima tangente a Del Turco del dicembre 2007, apre un conto in una piccola banca di Pescara e deposita contanti per 600mila euro. All’impiegato allo sportello dice di non voler riferire, per motivi di riservatezza, da quale banca ha prelevato i quattrini. Per la Guardia di Finanza potrebbe trattarsi di una provvista prelevata dai conti correnti della clinica Villa Pini visto che, scrivono i baschi verdi - i prelievi «sono di 100mila euro il 23 gennaio 2008, 200mila euro il 28 gennaio 2008, 100mila euro il 30 gennaio 2008». Il totale fa 400mila euro. Ne mancano 200mila all’appello, cioè al gruzzolo depositato in banca dalla signora Angelini. E guarda caso è la stessa cifra che Angelini dice d’aver dato in quegli stessi giorni a Del Turco. Su questo stesso conto viaggiano tanti altri soldi di natura imprecisata, come un bonifico estero di un arabo del 22 settembre (quando Del Turco e gli altri arrestati erano ormai ai domiciliari) di 250mila euro proveniente dalla «Faisal Private Bank» di Ginevra tramite la «City Bank» di Londra.

Già, Londra: proprio qui sarebbero stati riciclati i 21 milioni di euro del gruppo Angelini attraverso la sponsorizzazione al campione di motociclismo Dovizioso: Angelini disse ai pm che lui firmava, sì, ma non ne sapeva nulla di quel che firmava. Ad avviso della finanza ce n’era abbastanza per indagare e sequestrare i conti di Angelini. I carabinieri ne chiedevano addirittura l’arresto. La procura di Pescara ha arrestato Del Turco.

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