La Cassazione: mandare al diavolo i vigili non sempre è reato

I giudici della Suprema Corte hanno annullato la doppia condanna di un medico che se l'era presa con un agente per averlo multato mentre era in servizio: se ci sono «contingenze prioritarie che prevalgono su ogni altra esigenza» la frase di minaccia va assolta

Mandare al diavolo un vigile perché ci ha fatto una contravvenzione che riteniamo ingiusta senza passare i guai? Ci sono casi in cui è possibile. Lo ha stabilito la Cassazione, annullando una doppia condanna per minacce inflitta ad un medico catanese che, multato per aver lasciato in divieto di sosta l'auto mentre andava ad effettuare una vista cardiologica urgente, se l'era presa con l'agente della municipale che non aveva voluto sentire ragioni. La sentenza, emessa dalla sesta sezione penale, «legittima» in un certo senso la minaccia al vigile poco indulgente in situazioni particolari, come è stata ritenuta quella di Antonio C. dai giudici della Suprema Corte. Diversamente da quelli di primo e secondo grado: sia il Tribunale che la Corte d'Appello di Catania, infatti, avevano ritenuto il dottore colpevole nel maggio del 2008. Ma Antonio C. non si era arreso e il suo avvocato aveva presentato ricorso in Cassazione. Ricorso che è stato accolto, con il conseguente annullamento della sentenza di condanna perché «il fatto non costituisce reato». Eppure, quando il medico vide i vigili piazzargli una multa sul parabrezza per divieto di sosta nonostante fosse in servizio, e per un caso che non poteva aspettare, non aveva nascosto la sua ira: «Fatemi la contravvenzione e io vi farò vedere l'inferno». Una minaccia bella e buona, per i giudici che lo hanno condannato due volte. Doppio errore, secondo i colleghi della Cassazione, perché non tutti i casi sono uguali: la minaccia, infatti, va assolta nel caso in cui la multa sia stata fatta ad un automobilista che abbia «contingenze prioritarie che prevalgono su ogni altra esigenza». Per gli ermellini Antonio C. «reagì all'operato dei vigili con l'atteggiamento di chi ritiene che il proprio compito contingente sia prioritario e prevalga su ogni altra esigenza e, in tale ottica, pretende che chiunque comprenda e condivida tale valutazione».

Quando, dunque, i vigili «deludendo tale aspettativa - scrivono ancora i giudici - insistettero nel loro atteggiamento, anche per i problemi che la macchina in divieto causava alla circolazione, gli venne naturale reagire con una frase che, al di là del suo obiettivo contenuto minatorio, voleva sostanzialmente esprimere, nella sua stessa enfasi, solo un'esasperata protesta verso quella che gli appariva come un'importuna e ottusa interferenza nell'urgente compito del suo dovere professionale e non era quindi soggettivamente caratterizzata da reale volontà di coartazione».

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