da Roma
«Non possiamo essere creativi». È questo il senso della «difesa» della terza sezione della Corte di cassazione dopo la sentenza che riaffidava alle «cure materne» la ragazzina di 14 anni che la madre aveva costretto a compiere e subire atti sessuali per realizzare materiale pornografico. Ieri i giudici della Suprema corte intervengono con un lungo comunicato spiegando il perchè della loro discutibile decisione. Claudio Vitalone, presidente del Collegio della Corte suprema di Cassazione e Pierluigi Onorato, hanno ribadito innanzitutto che la norma applicata poneva rigidi paletti. Non sono piaciute le reazioni di avvocati, psicologi e giuristi finite sui giornali. Non sono piaciuti i toni e le considerazioni. La Corte, come sempre, ritiene di aver interpretato la legge secondo canoni legittimi. In pratica la perdita della potestà genitoriale poteva essere inflitta soltanto se la qualità di genitore fosse stata elemento costitutivo del reato. Circostanza che i giudici hanno ritenuto insussistente.
Il problema non è la sentenza, ma qualcosa che sta a monte delle scelte dei giudici, qualcosa che non spetta alla magistratura toccare. Quel qualcosa si chiama legge. Che fare dunque di fronte ad una legge ingiusta? «Abbiamo applicato la norma, non potendo derogarvi attraverso interpretazioni creative». Gli ermellini però si giustificano sostenendo di aver invocato l'intervento del legislatore sulla delicata materia per eliminare le incongruenze. Che in qualche modo è intervenuto «correggendo parzialmente la norma e razionalizzandola in una sua parte significativa».
I giudici dunque si giustificano ma rinviano al mittente le critiche che gli sono piovute addosso: «Nel diritto penale non si può giudicare in via analogica nè per estensione quando il risultato della decisione finisca per aggravare la posizione del reo. Abbiamo tuttavia espressamente segnalato nella sentenza stessa l'esigenza di un intervento del legislatore sulla delicata materia per eliminare le incongruenze».
Da più parti. Come quella di una loro collega «che ci rimprovera di scarsa sensibilità e di mantenere in piedi insensate distinzioni sull'età delle vittime». Altri commenti da cui prendono le distanze sono dedicati alle «accigliate invettive di un'insigne psicologa, che si dichiara «inorridità per la sentenza, frutto di una cultura misogina che dimostrerebbe scarso rispetto per l'adolescente ed il sostanziale fallimento della giustizia». Parole «del tutto eccentriche rispetto ai veri contenuti della decisione e ci sembrano poco utili per una onesta informazione della pubblica opinione».
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