Dimenticanze che pesano: nel suo ricorso in Cassazione per ottenere di mettere agli arresti Manfredi Catella, la Procura della Repubblica ha omesso di spiegare perché mai, a molti mesi di distanza dalla retata di inizio agosto, esisterebbero ancora le esigenze per chiudere il costruttore ai domiciliari. E poiché proprio la permanenza delle "esigenze cautelari" deve essere dimostrata dai pm, anche per questo il ricorso della Procura viene dichiarato inammissibile.
Ma la lezione di diritto non è la parte più indigesta delle motivazioni depositate ieri della sentenza con cui la Cassazione il 12 novembre scorso ha azzerato definitivamente la mossa più importante dei pm milanesi nelle indagini sull'Urbanistica, le ordinanze di custodia contro Catella e altri sei indagati che avevano fatto segnare un brusco innalzamento del livello dello scontro. Al centro dell'offensiva l'accusa di corruzione, fino a quel momento mai contestata nelle innumerevoli indagini sugli abusi edilizi individuati in città. Nella retata si ipotizzava, insieme a un costante e illecito rito ambrosiano della lottizzazione edilizia, anche l'esistenza di una cupola politico-affaristica di cui Catella veniva indicato come il dominus, anche per i suoi legami diretti con il sindaco Beppe Sala. Ma di corruzione, dice la sentenza di ieri, non c'è traccia.
A far scattare l'arresto di Catella per corruzione erano stati i suoi rapporti con l'architetto Alessandro Scandurra, figura-chiave della Commissione Paesaggio del Comune, designato dall'assessore Giancarlo Tancredi e dal sindaco Sala, che avrebbe dato via libera ai progetti del costruttore in cambio di alcuni incarichi professionali. Il tribunale del Riesame in agosto aveva annullato l'arresto di Catella, Scandurra e Tancredi (come pure gli altri della retata), la Procura non si era arresa e aveva presentato ricorso in Cassazione, accusando i giudici milanesi di aver guardato alle prove una per una e di essersi fatti sfuggire il quadro della "corruzione sistemica" che esisterebbe in città. La Cassazione risponde che per parlare di corruzione sistematica servono comunque le prove: "il riferimento al carattere sistemico e ambientale della corruzione non può surrogare la mancata prova degli elementi costitutivi del reato". Quanto ai rapporti tra Scandurra e Catella, la Cassazione conviene che si trattasse di rapporti "impropri", "a causa dell'eccessiva vicinanza tra la parte pubblica e quella privata", ed è evidente che Scandurra si trovasse in conflitto di interessi. Tuttavia "la condotta del pubblico ufficiale che eserciti la propria funzione in conflitto di interessi non dimostra di per sé la corruzione", perché manca la prova di un accordo, anche tacito: ti do gli incarichi in cambio del via libera ai progetti. La "cointeressenza" tra Scandurra e Catella "non è idonea a dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di corruzione", e le chat depositate dalla Procura dimostrano al massimo una possibile turbativa d'asta, che però i pm non hanno mai contestato.
Tecnicamente, anche di fronte alla smentita della Cassazione, la Procura potrebbe ora decidere di
portare ugualmente a processo per corruzione gli indagati: ma sarebbe un percorso in salita, anche perché nel frattempo il centrattacco della squadra di pm, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, se n'è andata in pensione.