Castelli: «Mai firmerò la grazia a Sofri I rapporti con il Quirinale? Ottimi»

La base leghista chiede al Guardasigilli di opporsi. E lui risponde: «Sono criticato quotidianamente»

Stefano Zurlo

da Milano

Non firmerà. E non consegnerà a Carlo Azeglio Ciampi le chiavi della cella in cui è detenuto Adriano Sofri. Roberto Castelli difende la sua linea del Piave davanti alle camicie verdi accorse a Pontida: sul prato della convention leghista sono in tanti a gridargli «Non firmare, non firmare». E lui li rassicura: «Non molleremo mai su tutto. Tutti i poteri forti sono scesi in campo su questo caso», ma non c’è da impressionarsi. Lui non sbanda. E non arretra. «Fino a che condividerò la responsabilità di questo atto, non firmerò. Lungi da me coartare le azioni di chicchessia, ma ciascuno si deve prendere le responsabilità dei propri atti di fronte al popolo».
Il ministro le responsabilità se le è prese. Eccome. Ha resistito al vento impetuoso dell’opinione pubblica, si è smarcato dal premier che aveva dichiarato maturi i tempi per un provvedimento di clemenza per Sofri e Ovidio Bompressi, condannati come mandante ed esecutore del delitto Calabresi. Alla fine ha contrastato perfino il presidente della Repubblica che dopo un lunghissimo braccio di ferro si è rivolto addirittura alla Corte costituzionale per avere lumi. Il potere di concedere la grazia è nelle mani del Presidente? Oppure Ciampi deve trovare l’accordo con il Guardasigilli, ovvero il ministro che controfirma quell’atto? Castelli non solo si è messo di traverso al capo dello Stato, ma ha anche dichiarato che una vittoria di Ciampi alla Consulta «avrebbe effetti devastanti».
Ora davanti al popolo che scandisce: «Non fir-ma-re», Castelli muove all’attacco di Bompressi che ha chiesto la grazia e di Sofri che invece non ha domandato assolutamente nulla. Parla subito dopo Umberto Bossi, Castelli e infiamma la platea: «Invece che pentimento o perdono, Bompressi ha detto solo “era ora”», dopo aver saputo del ricorso di Ciampi; «nel mondo dei masso-comunisti è un diritto, se si è di sinistra, tornare in libertà dopo aver ucciso; io e la Lega non siamo d’accordo». Lo applaudono. Lui ne ha pure per Sofri, anche se non lo nominerà mai: «Sul principale quotidiano italiano abbiamo assistito a un condannato per omicidio che ci dava lezioni di etica e di diritto». Insomma, per Castelli, il detenuto di Pisa è il campione del «diritto di poter uccidere senza poi pagare pienamente la pena».
La folla continua a gridare quelle due parole, «Non firmare», lui ribadisce una volta per tutte la propria scelta di campo, posizionandosi sui bastioni dell’intransigenza più intransigente. «Siamo con Abele, cioè tutte le vittime del terrorismo passato e presente. Siamo con Abele che è Calabresi. Caino sono i suoi assassini. Oggi si vuole liberare Caino». Ma lui le chiavi non le darà, anche se gli costa fatica: «Non è facile tenere questa posizione. Sono quotidianamente insultato, criticato, denunciato. Pensano che essendo tutti contro uno, alla fine cederò. Sbagliano, sono in tanti ad essere con noi».
No, davvero il ministro non ha alcuna intenzione di inchinarsi alla più alta carica dello Stato o di facilitare il rientro di Sofri e Bompressi nella società. Nulla da dire sui permessi accordati a Sofri - 48 ore al mese di libera uscita - perché quelli sono stabiliti per legge, ma nulla di più.
Finisce la manifestazione, lui torna sull’argomento, questa volta con toni più istituzionali e meno barricadieri, soprattutto nei confronti dell’inquilino del Quirinale: «Non ho attaccato nessuno, i miei rapporti con Ciampi sono ottimi, i rapporti fra istituzioni non sono come quelli fra vicinato. Ho dichiarato legittimamente la mia posizione in materia. Una posizione che è talmente all’interno della Costituzione che c’è bisogno di ricorrere alla Consulta per capire quali sono i limiti di ciascuno».
Ecco, se Ciampi ha sollevato il conflitto e ha chiamato in soccorso la Consulta, è perché l’argomento è assai spinoso e controverso. Ci vorrà un po’ di pazienza. La risposta della Corte arriverà, probabilmente, dopo l’estate.

Intanto Sofri resta nella sua cella al Don Bosco di Pisa, anche se ora può sfruttare i premi per tornare mensilmente nella sua abitazione di Tavarnelle, alle porte di Firenze, e presto potrebbe lavorare come ricercatore alla biblioteca della Normale; Bompressi, invece, resta confinato nella sua casa di Massa, agli arresti domiciliari, ma la sua situazione dev’essere monitorata continuamente: soffre infatti di anoressia, ha rischiato la morte in cella, è stato scarcerato, ora è blindato in casa. Nel 2007, in teoria, scaduto un periodo di due anni stabilito dai magistrati, potrebbe tornare in carcere.

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