Quando a un nome e cognome qualunque si antepone l’espressione «il caso...», allora il caso diventa serio. Ed è esattamente ciò che sta accadendo all’atleta sudafricana Caster Semenya, diventata appunto «Il caso Semenya» dopo aver vinto - appena diciottenne - l’oro negli 800 metri donne ai mondiali di atletica di Berlino con un tempo, 1’55”45, da molti considerato un po’ troppo maschio. Così adesso il caso è definitivamente esploso, visto il suo aspetto non proprio aggraziato e anche per il fatto che dopo la vittoria non ha voluto parlare in conferenza stampa. Dicono: per non far sentire il timbro della voce. Così adesso è scesa in campo la Iaaf che ha disposto «esami di accertamento» sull’identità sessuale dell’atleta.
Ieri però sono scesi in campo anche i familiari di Caster, per difenderla dal giudizio del mondo: «È la mia bambina e non ho mai dubitato della sua femminilità - ha dichiarato il padre della Semenya al quotidiano sudafricano The Sowetan -. Per la prima volta i sudafricani hanno qualcuno di cui essere fieri e ora i denigratori si fanno avanti come lupi. È ingiusto». Caster è cresciuta nel piccolo villaggio sudafricano di Fairlie, a circa 60 km dalla città di Polokwane, vivendo senza elettricità né acqua corrente. «La vicenda non mi preoccupa più di tanto - riferisce la nonna Maphuti Sekgala - perché so che lei è una femmina, io stessa l’ho cresciuta durante gli anni del liceo. È Dio che le ha dato questo aspetto». Pure Deborah Morolong, migliore amica di Caster, alza la voce: «Penso che stiano dicendo queste cose solo per invidia. Mi fa male sentir parlare di lei in questo modo», dichiara. Prima però di aggiungere: «Non ha mai avuto un ragazzo, non le piacciono i ragazzi». E pure il suo allenatore, Michael Seme, la difende a spada tratta: «È stata crudelmente umiliata, ma mantiene la calma e non ha mai perso la sua dignità nonostante le domande sul suo sesso». Si vocifera anche sull’episodio accaduto quando alcune persone hanno cercato di proibirle l’accesso al bagno per signore: «Volete che mi abbassi i pantaloni?» ha risposto la stessa Semeya.
Fino a qualche mese fa Caster era assolutamente sconosciuta al grande pubblico. Ora non si parla d’altro. Sull’argomento dicono già la loro i bookie d’Oltremanica che bancano i risultati del test sulla sessualità. E in Italia il Codacons ha invece presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma per chiedere il sequestro delle cartelle cliniche di eventuali ricoveri di Caster Semenya invitando chi ha effettuato scommesse a conservare le ricevute, in quanto le vincite potrebbero essere annullate.
Si intrecciano insomma accuse di diversa natura, dalla frode sportiva alle alterazioni genetiche, fino ad arrivare alla discriminazione nuda e cruda. «È razzismo del più alto livello» esclamano i rappresentanti della Sacp, formazione legata ai comunisti sudafricani che fa parte del governo, a cui fa eco il presidente della federazione di atletica leggera Leonard Chuene: «Non accadrebbe lo stesso con giovani atlete europee, fosse stata una ragazza bianca ora sarebbe seduta sulla sedia di uno psicologo, ma lei è una figlia dell’Africa...». Dal canto suo l’African National Congress, primo partito del Paese e perno dell’esecutivo, ha preso posizione con un comunicato in cui si legge: «Invitiamo tutti i sudafricani a schierarsi con la nostra ragazza d’oro e a ignorare le domande ingiustificate e maliziose sul suo sesso».
Uomo o donna che sia, Caster Semenya ieri ha comunque saputo dimostrare fierezza. Sul podio, con la medaglia d’oro stretta al collo e davanti a 60mila persone, non ha nemmeno versato una lacrima per l’emozione. Può forse essere un indizio?
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