Castro malato cede tutti i poteri al fratello

Ha dominato l’isola per 47 anni eliminando i dissidenti e perseguitando i deviazionisti

Stefano Filippi

«Non pretendo di governare fino a cent’anni», aveva detto Fidel Castro appena sette giorni fa durante un comizio antiamericano. Mai evocare scadenze simili: l’altra sera il presidente di Cuba, che il 13 agosto compirà 80 anni, è stato operato d’urgenza all’Avana per un’emorragia intestinale e ha ceduto tutti i suoi poteri, sia pure temporaneamente, al fratello Raul. Un fatto mai accaduto in 47 anni di ininterrotta dittatura e che testimonia più di mille bollettini medici l’estrema gravità delle condizioni dell’ultimo capo comunista occidentale. La salute del líder maximo è sempre stata segreto di stato: sempre smentite le voci di attacchi cardiaci e morbo di Parkinson, mentre avvennero davanti a migliaia di persone lo svenimento del 2001 e la caduta del 2004 che costò a Castro fratture al braccio destro e al ginocchio sinistro.
Anche l’operazione di ieri è in qualche modo circondata da un alone di mistero. Le uniche notizie non vengono dai medici ma dal governo amico venezuelano di Hugo Chavez e soprattutto da una lunga lettera scritta dallo stesso Fidel in ospedale e letta alla tv cubana dal consigliere personale Carlos Valenciaga. Un messaggio roboante come il suo autore, scritto in prima persona. Parla dell’«enorme sforzo realizzato per visitare la città argentina di Cordoba» dove ha partecipato alla riunione del Mercosur, e la località di Altagracia «dove il “Che” trascorse la sua infanzia», e per «assistere alla cerimonia del 53° anniversario dell’assalto al Moncada, nelle province di Granma e Holguin». «Giorni e notti di lavoro continuo, senza quasi dormire, hanno fatto sì che la mia salute, che ha resistito a tutte le prove, sia stata sottoposta a uno stress estremo e questo mi ha provocato una crisi intestinale acuta con sanguinamento ingente che mi ha obbligato ad affrontare una complicata operazione chirurgica, che mi obbliga a rimanere varie settimane a riposo, lontano dalle mie responsabilità e dal mio incarico».
Castro elenca con puntiglio i poteri provvisoriamente delegati al fratello, «dal momento che il nostro Paese si trova minacciato dal governo degli Stati Uniti»: primo segretario del comitato centrale del partito comunista di Cuba, comandante in capo «delle eroiche forze armate rivoluzionarie», presidente del consiglio di Stato e del governo, responsabile del programma nazionale e internazionale di salute pubblica. A tre ministri incarichi minori su educazione ed energia. Indicati perfino i responsabili della gestione dei relativi fondi statali. L’ultima direttiva riguarda i festeggiamenti per l’imminente compleanno numero 80, nel pieno dei preparativi: «Chiedo a tutti di posticiparlo al 2 dicembre, cinquantesimo anniversario dello sbarco del Granma. L’imperialismo non potrà mai sconfiggere Cuba. La battaglia delle idee va avanti. Viva la patria! Viva la Rivoluzione! Viva il socialismo! Fino alla vittoria sempre».
E questo «Hasta la victoria siempre» suona quasi come il sigillo su un testamento.

Castro ammette di stare molto male e investe l’erede: il «compagno Raul Castro Ruz», fratello, braccio destro, ispiratore, vice in tutte le cariche. Raul è magro, non porta la barba lunga ma gli occhiali, gli manca il carisma del líder maximo; tuttavia è stato un ottimo generale e controlla l’esercito e la polizia. E divenne marxista prima di Fidel.

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