Catanzaro, la strana guerra tra il pm e il carabiniere

Le presunte angherie subite da un militare ad opera di un magistrato nella relazione degli 007 di Mastella. Tutto per un parcheggio sotto casa

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Catanzaro

Il carabiniere semplice (nel mirino della mafia), il magistrato importante (che di mafia non si occupava) e le presunte angherie subite dal primo ad opera del secondo per accaparrarsi uno straccio di scorta. Nella relazione degli 007 ministeriali sulle faide interne alle procure calabresi che dorme sulla scrivania del Guardasigilli, Clemente Mastella, c’è spazio per una storia surreale che vede protagonisti un militare dell’Arma, vittima di attentati e destinatario di un progetto d’assassinio disvelato da diversi pentiti, e il procuratore aggiunto di Catanzaro, suo ingombrante vicino di casa. Oggetto del contendere: il parcheggio sotto casa, presidiato da guardie armate, vietato al luogotenente Giovanni Viggiani, e permesso al solo giudice Mario Spagnuolo. Il 15 giugno 2005 il carabiniere riferisce agli ispettori arrivati da Roma alcune cosette su Spagnuolo «che sin da quando era pm a Cosenza, poiché era solito appropriarsi di indagini di competenza della Dda, con riguardo ad una vecchia ma importante indagine» la fece sua «traendone vantaggi d’immagine e sotto il profilo della sicurezza personale». Il militare racconta di quand’era al Radiomobile di Rogliano, del suo impegno antiracket, e dell’inchiesta che nel 1992 portò all’arresto di un falso testimone e due estorsori che lo minacciarono di morte. Viggiani stilò due relazioni che inviò a Spagnuolo, «su sua richiesta, quantunque - dice - non appartenesse alla Dda». Alcuni giorni dopo «il dottor Spagnuolo, col quale condivido una villa bifamiliare e avevo allora un buon rapporto di vicinato, mi disse d’aver saputo di essere nel mirino dell’estorsore a causa dell’informativa (mia) che aveva ricevuto. Io lo rassicurai, dicendogli che mai degli estorsori avrebbero alzato il tiro, specie su un magistrato. Qualche giorno dopo Spagnuolo mi disse che si era rasserenato in quanto aveva saputo che le minacce erano dirette nei miei confronti». Successivamente due pentiti confermeranno in udienza il proposito di non uccidere magistrati (temendo una reazione dello Stato) bensì il carabiniere Viggiani e/o un coraggioso commissario di polizia, Luigi Carnevale. «Il collaborante Franco Pino - continua il militare - disse che la sua casa era diventata un supermarket dove tutti venivano ad attingere informazioni, e dove qualcuno pretendeva si dicesse che l’attentato era diretto al magistrato». La notte di Natale del 1992 una bomba disintegrò la Fiat Uno del luogotenente parcheggiata in giardino. «L’esplosione provocò la rottura dei vetri di casa mia, e di una finestra di casa Spagnuolo. Quest’ultimo si affacciò e disse: “Meglio a lei che a me”...». Anni dopo, nell’operazione Riace, venne disposto il pattugliamento saltuario diurno e notturno dell’Esercito sotto casa del magistrato «che di fatto si risolse in una serie di vessazioni nei confronti miei, dei miei familiari, degli amici». Esempio: nel medesimo marciapiede, denuncia Viggiani, potevano parcheggiare solo il magistrato, i suoi familiari, i suoi amici. «Solo che ci si accostasse, ci trovavamo con le canne di un fucile puntate in faccia». Ma le sorprese non finiscono qui. «A fine operazione Riace la vigilanza sotto casa Spagnuolo diventa “fissa” ad opera delle forze di polizia». Solo dopo sette anni, grazie alle rivelazioni di altri pentiti, qualcuno si muove a pietà e assegna al luogotenente una sorveglianza, «saltuaria» però. «Senza che mi si prendesse in giro - chiosa Viggiani - forse valeva la pena di revocare la misura al mio vicino che nessun rischio aveva corso e nessun attentato aveva mai patito». Quando nel 1999 il pentito Pino vuotò il sacco «mi fu detto che Spagnuolo era scortato ancor prima del mio attentato del 1992 in quanto lo avevano minacciato di uccidergli il cane».

Strano, perché «il dottor Spagnuolo - ironizza il militare - il cane l’ha preso solo l’anno successivo allorché la moglie del magistrato chiese alla mia se il pastore tedesco che avevamo costituisse un pericolo per i bambini». Solo dopo esser stata rassicurata, un quadrupede abbaiò finalmente anche in casa Spagnuolo. I conti, e i cani, non tornano però.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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