Caterina, santa tra gli ammalati

Caterina, santa tra gli ammalati

Carla Valentino

Chiesa di Santa Caterina, Palazzo di Giustizia, via Bartolomeo Bosco, via Ettore Vernazza: quale rapporto lega questi personaggi e luoghi di Portoria? Per rispondere, occorre tornare al Quattrocento, quando il palazzo era quello dell'Ospedale di Pammatone, fondato dal giurista Bartolomeo Bosco nei primi decenni del secolo: Caterina Fieschi, futura patrona di Genova, vi svolse per trent'anni la sua infaticabile opera di assistenza agli ammalati. Il notaio Ettore Vernazza, primo discepolo della santa, istituì invece, incoraggiato da lei, l'«Ospedaletto» per gli Incurabili, colpiti da sifilide o «morbo gallico» e rifiutati da tutti.
Come sottolinea il De Negri nella sua «Storia di Genova», è grazie a generosi esempi come questi che qui, nella «città di mercanti» del XV secolo, le istituzioni sociali si trasformano attraverso «forme di carità pubblica, ispirate alla spiritualità cristiana». Perché la mentalità concreta dei genovesi traduce gli ideali in tangibili opere di carità, «con anticipazione di secoli su quella che sarà la lenta evoluzione della coscienza sociale degli uomini».
Bella, intelligente e colta, studiosa di Dante e Jacopone da Todi, Caterina percorre il suo personale cammino di santità con una vita di appassionato misticismo e dedizione eroica al servizio degli ammalati e dei poveri, in una città insanguinata da lotte intestine e duramente contesa da Francia e Ducato di Milano, mentre i Fregoso e gli Adorno si alternano tra continui contrasti al dogato. Caduta Costantinopoli nel 1453, la Superba finirà per perdere le colonie d'Oriente e spostare in seguito i propri capitali verso Spagna e Portogallo, punto di partenza e di arrivo delle nuove rotte di collegamento tra Europa e Nuovo Mondo.
Caterina nasce nel 1447, quattro anni prima di Cristoforo Colombo, nella famiglia di antica nobiltà dei Fieschi, conti di Lavagna. Secondo la tradizione, viene alla luce nel palazzo di vico Indoratori. L'alleva la madre Francesca Di Negro, perché il padre Giacomo, già viceré di Napoli, è da poco scomparso. A quindici anni la «Perla dei Fieschi» va in sposa, per un matrimonio politico voluto dai parenti, a Giuliano Adorno, dell'illustre famiglia di nobili «popolari», vicino ai quarant'anni, donnaiolo e dedito al vizio del gioco. Il marito la trascura, ma Caterina, che dopo un decennio di vita mondana avverte definitivamente il richiamo mistico, riuscirà a conquistare anche lui alla propria missione di carità.
Nominata Rettore dell'Ospedale di Pammatone, Caterina Fieschi Adorno - prima donna genovese a ricoprire una carica così importante - svolge le sue funzioni con amore ed efficienza, affrontando anche diverse epidemie di peste. Se il nome aristocratico le apre tutte le porte, è il suo carisma a contagiare persone di ogni classe sociale, attirando capitali, donazioni e impegno personale a favore dell'istituto. Quattro grandi corsie a croce e cameroni aerati pongono la struttura all'avanguardia in Europa, quando l'igiene è ancora ovunque disastrosamente trascurato. Sempre a Caterina si deve la fondazione di altre opere meritorie, come il Lazzaretto per appestati e lebbrosi, alla foce del Bisagno. Il prestigio della santa supera i confini di Genova. Chiedono di incontrarla i grandi e gli umili, alla ricerca della sua guida spirituale, in un'epoca in cui papi e clero, tra mercato delle indulgenze, corruzione e nepotismo, troppo spesso dimenticano di essere pastori di anime. Sta maturando un'esigenza di cambiamento che Martin Lutero porterà alle estreme conseguenze con la riforma protestante.
Due saggi mistici, scritti dai discepoli dopo la sua morte avvenuta nel 1510, raccolgono gli insegnamenti della santa: «Trattato del Purgatorio» e «Dialogo spirituale». A lei, straordinaria figura femminile in una storia genovese che annovera soprattutto protagonisti maschili, ha dedicato una documentata biografia Paolo Lingua, «Caterina degli ospedali»: un'opera laica, tra le molte scritte sulla santa da religiosi.

La salma incorrotta di Caterina è conservata in un'urna di vetro nella chiesa che ne porta il nome, gestita dai padri Cappuccini, un tempo chiesa dell'Ospedale di Pammatone. Ne è da poco stata celebrata la festività, che ricorre il 12 settembre.

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