La cattiva letteratura? A volte è meglio bruciarla

Cristina Crippa mette in scena al «Paolo Pini» uno spettacolo tratto dal romanzo di Amélie Nothomb

Viviana Persiani

«Erano anni che sognavo di realizzare qualcosa tra queste mura, in questo luogo astratto, metafora della condizione umana, in questo spazio non teatrale nel senso canonico del termine, dove attori e platea formano un tutt’uno». Con queste parole Cristina Crippa, nei panni della regista di Libri da ardere, parla dello spettacolo tratto dal romanzo di Amélie Nothomb che questa sera metterà in scena all’ex Ospedale Psichiatrico «Paolo Pini».
Come mai la scelta è caduta su questo lavoro dell’autrice belga?
«Ho conosciuto questa scrittrice attraverso i suoi romanzi dai quali sono sempre restata colpita; già due anni fa ebbi l’occasione di presentare questo unico testo teatrale di Nothomb sottoforma di lettura, per festeggiare il compleanno di una biblioteca. Ora, la messinscena ha assunto il profilo definitivo di spettacolo teatrale raccontando, in maniera essenziale, una vicenda ambientata in una città forse dell’Est europeo».
Cosa accade?
«In questa città immaginaria, in un’epoca immaginaria, dopo un assedio durato due anni in un gelido inverno di guerra, nella casa di Daniel, il professore di letteratura dove hanno trovato rifugio il suo assistente e la sua allieva, prende il via un gioco al massacro. L’irrompere del freddo, la situazione ormai d’emergenza, porta i tre amici a utilizzare come combustibile la ricca biblioteca del professore. Ecco come comincia la scelta tra la buona e la cattiva letteratura, dando differenti precedenze al rogo».
Cosa rappresentano i libri?
«Simboleggiano un’umanità, un’ancora di salvezza di persone che pian piano si avviano alla morte».
Chi ha scelto per incarnare questi valori sulla scena?
«La scelta degli attori è stata molto delicata, frutto di riflessioni; Elio De Capitani, nei panni del professore Daniel affianca Elena Russo Arman che ormai conosco da anni; nei panni dell’assistente, Corrado Accordino: l’elemento che completa un terzetto ideale. Condizione indispensabile era avere sulla scena tre attori capaci di comunicare il messaggio della Nothomb».
Quali elementi caratterizzano la scrittura di Amélie Nothomb?
«Questo, ad esempio, è un testo costruito su una base di grande ironia; l’autrice ha la capacità di parlare delle gioie dell’infanzia tratteggiandole con toni di crudeltà, raccontando con estrema leggerezza tragedie trasposte da una forte e costante ironia».
Come questo spettacolo?
«Anche qui, nonostante il clima di guerra e i disagi vissuti dai protagonisti, si ride dei rapporti che legano i tre personaggi, delle dinamiche che uniscono i tre amici. Inoltre, ho dato importanza anche alle strutture didascaliche che supportano spesso le azioni dei protagonisti».
Che valore dà l’autrice alla parola?
«È un testo molto parlato. L’autrice belga crede nel valore della scrittura, della letteratura; oltretutto, avendo vissuto in più parti del mondo, come in Giappone, è solita guardare la realtà da differenti punti di vista, osservando da lontano il mondo che la circonda. La scrittrice ha grande fiducia nel comunicare e il suo rapporto con la parola scritta è intenso come il nostro con il teatro».


Un punto in comune?
«Non si tratta di un elemento di sopravvivenza, ma non c’è dubbio che noi e la Nothomb condividiamo lo stesso amore per la comunicazione».

Libri da ardere, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, ore 21.45 (anche in caso di pioggia), info 02-66200646.

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