Le cattive abitudini che ammazzano la cultura

«Dopo aver perso tanti treni, l’Italia non può permettersi di lasciare ad altri il primato in un campo che, pur con inevitabili alti e bassi, la vede al comando del mondo ininterrottamente da un paio di millenni». Così scrive in Lo stato dell’arte (Bompiani, pagg. 88, euro 7,50) Andrea Kerbaker, ideatore e direttore fino all’inizio di quest’anno di Progetto Italia Telecom, tra i più significativi interventi culturali promossi da un’azienda privata.
Il primato in questione è quello del patrimonio culturale e Kerbaker ci avvisa che sono ancora troppi i «nodi irrisolti» nella gestione dei beni culturali in Italia, alcuni dei quali connaturati al nostro Dna, come l’ossessione per la conservazione a discapito del nuovo e lo snobismo per tutto ciò che «piace al pubblico». Barcellona, Lisbona, Antibes sono state più attente delle nostre città a tenere gli occhi aperti sul mondo trasformando, come nel caso di Bilbao, città-emblema di questo processo, la propria identità a uso e consumo di un turismo culturale affamato di novità.
Kerbaker ci presenta un manuale suddiviso in sette capitoli: vivacità, mobilità, originalità, semplicità, contaminazione, comunicazione e contemporaneità. Sono le caratteristiche che dovrebbe possedere un’impresa culturale pubblica o privata che voglia valorizzare il patrimonio. Il binomio tra impresa e cultura non piacerà ai puristi, eppure oggi non ha senso indignarsi se il sindaco di ogni borgo vuole il proprio festival, ma occorre capire come saziare la fame di cultura.
In uno Stato che riserva lo 0,26 per cento del proprio bilancio al ministero dei Beni Culturali e che ha da tutelare tra i più vasti patrimoni al mondo, chi vuole operare nella promozione culturale deve possedere, secondo Kerbaker, una buona dose di vivacità di idee. I luoghi culturali non devono mettere soggezione, ma favorire l’ingresso. A esempio con la mobilità: guai a proporre in un museo sempre gli stessi pezzi, specie se i depositi sono pieni di opere per nulla minori che possono ruotare con la collezione permanente. L’obiettivo è suscitare la curiosità con originalità, una felice comunicazione, un occhio di riguardo alla contaminazione delle arti e con semplicità, che non significa semplicismo: Benigni o Sermonti leggono Dante, non il Bignami, e sono capiti da tutti.


Infine la dote più difficile: la contemporaneità che non è data tanto dall’età anagrafica dei luoghi d’arte o del contenuto delle loro proposte, ma dalla loro attualità. Ossia dalla capacità di parlare il linguaggio del nostro tempo, non di pochi (i soliti) addetti ai lavori.

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