«E alla fine ne rimarrà uno solo», come in Highlander. Certo nè Fini nè Berlusconi somigliano a Sean Connery, ma la loro sfida pare arrivata ormai alla svolta finale, e solo uno dei due è destinato (politicamente) a sopravvivere.
A ieri sera, il grave verdetto era ancora appeso alle sofferte decisioni di un pugno di deputati, tra cui alcuni finiani. In realtà, per tutta la giornata di ieri comportamenti, gesti e parole tanto del premier quanto del presidente della Camera sono stati calibrati e mirati solo a loro, a quel piccolo gruppo di incerti che può rendere vulnerabile la falange finiana e cambiare le sorti della maggioranza. Per loro Berlusconi ha trattenuto i toni del suo discorso, ha fatto accorato appello all’unità del «moderati», ha calcato la mano sul dovere morale di non tradire gli elettori alleandosi con la sinistra, ma ha accuratamente evitato di pronunciare anche per sbaglio il nome di Fini. Così come per loro il presidente della Camera si è sottoposto ad altrettanti sacrifici, qualcuno anche imbarazzante per la terza carica dello Stato: ieri mattina gli è toccato persino fare anticamera negli uffici della Commissione Lavoro, presieduta dal «suo» Silvano Moffa, per avere un colloquio col capo dei mediatori di Fli che però era già impegnato con qualcun altro. Il primo di una lunga serie di colloqui, culminati nel pomeriggio nel tentativo di «mediazione last minute» avallato da Fini: un modo per rendere più difficile a Moffa e alle altre colombe di accusarlo di aver cercato il muro contro muro senza lasciare spiragli, e soprattutto per tenere unito il Fli. Ben sapendo che alla richiesta di dimissioni il premier avrebbe risposto ancora una volta no.
«La notte è lunga», ripetevano ieri dall’uno e dall’altro fronte, e di certo per molti sarà insonne. E l’esito della partita è così incerto che ieri sera sia il pasdaran finiano Granata che gli antiberlusconiani di prima linea de Il Fatto ipotizzavano lo stesso paradossale scenario: un testa a testa assolutamente paritario sulla fiducia, e il voto di Fini che risulta decisivo. Con lui che scende dallo scranno di presidente, si dimette seduta stante e trionfalmente vota, affondando con un solo colpo l’odiato Cavaliere.
Fantapolitica a parte, se dentro Fli si aprisse davvero una falla e oggi in aula Berlusconi la spuntasse, la sconfitta per Fini sarebbe cocente e forse definitiva, come gli preconizzava ieri il Corriere della Sera, e dalle file finiane potrebbe partire un effetto valanga di ritorni all’ovile. Se Fini invece terrà compatti i suoi e il governo andrà sotto, l’effetto valanga potrebbe aprirsi nel Pdl. O almeno così spera chi nell’opposizione ancora punta le sue carte su un governo di «salvezza nazionale». Al momento, l’esito più probabile - comunque vada il voto di oggi - sembra ancora il voto anticipato in primavera. «Con due voti non si governa», ripete Bossi.
E se l’esecutivo si salvasse oggi per un paio di voti, già mercoledì c’è il rischio che affondi: all’ordine del giorno c’è il decreto sui rifiuti di Napoli, e nessuno scommette che la maggioranza testè risorta possa tenere senza scosse.