Il Cav chiama il Pdl: ora siamo tutti montiani

Barlusconi sfida l’impopolarità: "Crisi drammatica, serve responsabilità". Poi detta la linea: starà a voi ricucire il rapporto di fiducia con la gente

Il Cav chiama il Pdl: ora siamo tutti montiani

Roma - «Siamo il partito di maggioranza relativa, in un momento così drammatico non possiamo giocare una partita di retroguardia ma dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Senza porre a Monti condizioni capestro». È questa la linea che Silvio Berlusconi continua a ribadire, in queste ore delicatissime di consultazioni, allo stato maggiore del Pdl e a consigliare a tutte le componenti della sua vecchia maggioranza.

Una strategia di cui l’ex premier conosce bene il «potenziale di impopolarità», gli effetti destabilizzanti che potrebbe produrre tanto sull’umore dell’elettorato quanto sulla compagine parlamentare. Ma alla quale Berlusconi non vuole sottrarsi, facendo da schermo rispetto alle spinte contrapposte che, inevitabilmente, attraversano il partito.

L’ex premier è convinto che il disorientamento sia una condizione tanto naturale quanto transitoria e stia nelle mani del partito ricucire il rapporto di fiducia con la gente. Per questo ha chiesto agli ex ministri di preparare un manifesto programmatico e documenti di consuntivo del lavoro svolto con cui documentare i risultati ottenuti dal governo. Ma anche di spiegare al meglio i perché dell’impasse e il motivo per cui in questa fase «non possiamo non dirci montiani».

Su questa linea le perplessità di una parte dello stato maggiore del Pdl sono ancora ben visibili, al di là della disciplina di partito. Molti chiedono a Berlusconi e Alfano di adottare «politiche di riduzione del danno» e negoziare soprattutto sull’Ici, provvedimento bandiera del governo uscente che non può essere riproposto come se niente fosse, senza patire un danno permanente in termini di credibilità.

«Se non definiamo una frontiera precisa non sarà facile tenere insieme il Pdl» ha ammonito qualcuno, anche nella cena dei ministri di due giorni fa. «È mancato il coinvolgimento da parte del nuovo esecutivo su scelte strategiche fondamentali» spiega Saverio Romano. «Dobbiamo essere noi a dettare l’agenda, non farcela imporre. Altrimenti così il Parlamento perde la sua funzione». Di fronte al precipitare della situazione internazionale, però, ribatte Maurizio Gasparri, «non si possono dettare ultimatum. È evidente che per noi la difesa del mondo delle professioni è una preoccupazione così come lo è la tassazione sulla prima casa e l’inasprimento sui redditi medio-bassi. Diciamo che come Pdl abbiamo dimostrato saggezza. E adesso ci auguriamo che la risposta sia altrettanto saggia».

Sullo sfondo del dibattito sulle misure economiche del governo Monti, c’è un altro fronte che desta preoccupazioni. Emergono, infatti, frizioni forti sulla legge elettorale con due «partiti» a confronto. Da una parte coloro che vorrebbero il ritorno al Mattarellum in modo da stabilire un ancoraggio forte al bipolarismo - tra questi Renato Brunetta, Gianfranco Rotondi, Maurizio Sacconi e Altero Matteoli - e chi, per favorire un accordo con il Terzo Polo e con Casini, spinge per il ritorno al proporzionale. «È in corso una partita per smontare il bipolarismo» spiega un dirigente ex An. «Si tratta di un passaggio strategico che non inciderà soltanto sull’oggi.

Su questo punto dobbiamo fare grande attenzione e avviare una riflessione seria altrimenti rischiamo di buttare a mare l’eredità di questa stagione e dissipare il lascito di vent’anni di politica, oltretutto concedendo una golden share sul centrodestra a Casini».

Una questione aperta, destinata a deflagrare qualora la Corte costituzionale, nel prossimo gennaio, dovesse pronunciarsi in maniera positiva sulla legittimità dei quesiti referendari.

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