Cav & Ing la strana alleanza

Forse è vero: quando il gioco si fa duro, i duri incominciano a giocare. La «strana coppia» o la «strana alleanza» fra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti in un'importante iniziativa imprenditoriale nel capitale di rischio per risanare imprese italiane in difficoltà, ma con importanti potenzialità di rilancio, ha suscitato grande interesse.
Secondo noi, con tutto il rispetto, il Cav e l'Ing se la godono un mondo all'idea di far vedere come si fa. Anche perché questo ha causato, da certe parti, qualche segno di vertigine. Per quanto ci riguarda, siamo fautori del cambiamento come via obbligata della responsabilità per la ripresa dell'economia davanti alla sfida vitale (non vogliamo dire mortale) che dobbiamo affrontare. L'iniziativa sembra avere invece sconcertato l'eletta, ma forse un po' miope schiera dei seguaci politici dell'Ingegnere: feriti, se non traditi, nel loro scalmanato anti-berlusconismo.
Ma come? Dalla mobilitazione permanente contro il Cavaliere, dalla «LeG» (l'associazione Libertà e Giustizia che sembra rievocare, sia pure temerariamente, Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Gaetano Salvemini esuli a Parigi nel 1929) alla «MeC» (Management e Capitali, il contenitore di partecipazioni finanziarie in cui forse si trasformerà la CdB Web Tech) con i nuovi soci di De Benedetti, a cominciare da Berlusconi? Due già acerrimi avversari nel campo degli affari e sia pur diversamente alfieri di concezioni politiche all'apparenza antitetiche (fatte le debite proporzioni, naturalmente) all'interno del capitalismo si mettono insieme per dare una spinta concreta alla modernizzazione del nostro sistema industriale e finanziario.
Resteranno magari avversari nel resto, ma qui si rimboccano con altri le maniche, dando preminenza alla «cultura del fare» - del decidersi a fare quello che bisogna - nel mondo imprenditoriale. Soprattutto i due scelgono un momento decisivo per far capire al colto e all'inclita che la spinta di cui ha urgenza il nostro sistema industriale deve venire innanzitutto dal suo interno. Pur richiedendo con determinazione un quadro di interventi e di regole «conformi» (e quindi le riforme che erano e devono restare nel programma politico di Berlusconi), questa spinta non può essere che «endogena»: secondo la natura intrinseca del capitalismo autentico e liberale, per confrontarsi con un'economia competitiva globale. A ben vedere, c'è effettivamente, in questa coraggiosa alleanza finanziaria, un aspetto beffardo per una certa cultura di sinistra: quel capitalismo proteiforme, inafferrabile, che inquietava già negli anni '70 la Rivista Trimestrale di Claudio Napoleoni e molti catto-comunisti di allora e di oggi.
Comunque l'obiettivo che i Nostri si prefiggono di perseguire con l'esempio, è il caso di dirlo, richiede idee ed impegni precisi in prima persona, con strumenti adeguati. Per esempio quelli, da noi ancora pionieristici, del cosiddetto equity o venture capital: capitale di rischio, appunto, da investire in imprese che, in date condizioni e senza un vero turnaround, una svolta completa, sarebbero condannate al fallimento, per carenza di management e mezzi finanziari, dunque per l'impossibilità di sviluppare le loro potenzialità. Non imprese decotte, si badi, con un encefalogramma piatto. Non imprese da assistere e da sovvenzionare. Al contrario: aziende potenzialmente vitali e capaci di essere portate, con la cura giusta, sulla frontiera tecnologica dell'efficienza e della competitività. Ecco allora gli strumenti dei fondi d'investimento industriale, il business rischioso e coraggioso del rimetterle a nuovo per rivenderle con profitto come gioiellini. L'Ing avrà certamente nel cuore la vecchia Gilardini, conferendo la quale entrò (per uscirne quasi subito) nella Fiat degli Agnelli come giovane A.D. Venerdì in Borsa il titolo CdB Web Tech, con il passaggio di mano di un sesto del capitale, ha guadagnato il 33 per cento: la probabile MeC rappresenterà una novità assoluta in Italia, con sottoscrittori che faranno investimenti industriali in imprese in difficoltà. Qualcuno ha rievocato l'Iri del 1933, che avrebbe dovuto rimettere in sesto imprese in crisi per restituirle risanate ai privati, ma andò nella direzione opposta.

Qui è diametralmente diverso, un segno molto innovativo della fiducia nell'investire in Italia: un esempio.
Quanto alla «strana alleanza» molti, comprensibilmente spiazzati, tendono a derubricarla nel peccato veniale del «business is business». A noi, senza esagerare, sembra una metafora (anche politica) interessante.

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