Il Cavaliere vede quota 325 Per ora le urne sono lontane

RomaLe opposizioni gli puntano alla tempia l’arma giudiziaria intimandogli di lasciare, ma Berlusconi ha un’idea meravigliosa: raddoppiare. In uno dei momenti più delicati della sua vita politica il premier pensa niente di meno che a uscire dalla tempesta più forte che pria. Lo dicono i numeri: alla Camera dei deputati la maggioranza potrebbe essere presto la più solida dal divorzio di Fini. La quota fissata da Berlusconi stesso è 325, che garantirebbe mani più libere nell’azione di governo e sarebbe un segnale a quella parte dell’Italia che continua a credere in lui.
Insomma, chiamiamola operazione-aspirina, nel senso che il governo non sarebbe più minacciato da un raffreddore. La base di partenza è il voto dello scorso 3 febbraio, quello con il quale l’aula approvò la proposta della giunta per le autorizzazioni di negare ai pm che indagano sul Rubygate di perquisire gli uffici della segreteria di Berlusconi. Quel giorno il tabellone elettronico di Montecitorio registrò il seguente score: presenti 614, votanti 613, astenuti 1, maggioranza 307, favorevoli 315, contrari 298. In quel caso la maggioranza fece il pieno dei voti previsti (i 232 del gruppo Pdl senza Berlusconi, che si astenne, i 59 della Lega e i 21 dei Responsabili), aggiungendovi quelli di Calogero Mannino, Aurelio Misiti e Francesco Nucara, tutti e tre «senza bandiera» a questo punto acquisiti alla compagine governativa, che conta quindi 316 voti. Ma il pallottoliere del premier potrebbe presto registrare nuovi movimenti in entrata. Il laghetto nel quale pescare è quello piccolo ma movimentato del gruppo misto, che raggruppa una composita schiera di apolidi, insoddisfatti, cani sciolti e da sciogliere: 22 deputati in grado di spostare gli equilibri della Camera. Il più noto è Paolo Guzzanti, che nella sua politica del pendolo sembra in questo momento sensibilmente più vicino al centrodestra che al centrosinistra: quel 3 febbraio la sua assenza alla Camera fu senz’altro messa a referto come una mano tesa alla maggioranza. E uno. Altra componente sensibile alle sirene del premier è quella liberaldemocratica: Italo Tanoni e Daniela Melchiorre sono stati eletti nelle fila del Pdl e sembrano pronti a rientrare nei ranghi, se è vero che anche loro il 3 febbraio non votarono contro Berlusconi. E anche se l’altro «libdem» Giorgio La Malfa non sembra in odor di traghettamento, siamo pur sempre a tre.
Anche tra i «futuristi» c’è chi sembra aver compreso di aver preso una sòla a lasciare il governo per seguire il suono sempre più stonato del pifferaio magico Gianfranco Fini: i mal di pancia più acuti sono quelli di Luca Barbareschi e Adolfo Urso, che nel pessimo affare ci ha pure rimesso la poltrona di viceministro. Ma anche Giulia Cosenza e Roberto Rosso il 3 febbraio fecero mancare il voto contro la richiesta della giunta per le autorizzazioni: ed ecco altre quattro possibili frecce all’arco di Berlusconi. Cinque se si conta anche Ferdinando Lattieri dell’Mpa, altro «aventiniano» del 3 febbraio. In totale fanno 8, che sommato ai 316 di partenza fanno 324. Uno in meno della quota fissata.
E poi? E poi ci sono i radicali: sono sei, sono stati eletti nelle fila del Pd ma non sempre ne seguono la disciplina interna.

Sensibili ai temi della giustizia, convinti che andare al voto con questa legge elettorale sarebbe come andare in settimana bianca in costume, non riconoscono il dogma dell’antiberlusconismo. Con loro, insomma, si può dialogare. Un’altra buona notizia per Berlusconi.

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