Roma - Il caso delle «pressioni anti-referendarie» sul giudice della Corte costituzionale, Romano Vaccarella, conquista il centro della scena ed entra con prepotenza nel dibattito politico. Il timore che, pur di allontanare lo spettro del referendum sulla legge elettorale, qualcuno possa aver tentato di «giocare sporco» esiste. E più di un politico fa risuonare l’allarme per l’atmosfera che si sta creando attorno alla consultazione popolare, con la Casa delle libertà che, anche dopo la decisione della Corte costituzionale di respingere le dimissioni di Vaccarella, chiede con forza un intervento di Romano Prodi nelle aule parlamentari. Il presidente del Consiglio, però, getta acqua sul fuoco. Ed esprime perplessità per la scelta del giudice di lasciare la Consulta e la tempistica del suo annuncio.
«È stato veramente strano e incomprensibile che le dimissioni di Vaccarella siano avvenute dopo che avevo chiaramente espresso la posizione del governo di assoluto rispetto dell’indipendenza della Corte» dice Romano Prodi. «Il governo non fa e non farà alcuna influenza indebita nei confronti della Corte costituzionale, l’autonomia della Corte è suprema». Quanto alla richiesta di un eventuale chiarimento in Parlamento, «il governo - dice Prodi - ha già fatto il suo dovere».
Parole che fanno infuriare Forza Italia. «Con le dichiarazioni inusitate e sconcertanti di Prodi - dice Sandro Bondi - siamo entrati in una fase nella quale il governo corrompe le fondamenta della nostra già fragile democrazia». Toni simili vengono adottati anche da Renato Schifani. «Prodi, invece di smorzare i toni su una vicenda delicatissima si lascia andare ad affermazioni velenose. C’è un caso politico: Prodi venga in Senato a riferire». Molto duro e deciso anche l’intervento di Gianfranco Fini che punta il dito contro le «palesi interferenze» dell’esecutivo. «Vaccarella ha fatto bene a dire che ha voluto dimettersi non per ragioni tecniche ma perché non sono ammissibili interferenze da parte di ministri sul referendum» dice il leader di An, a La7. «Vaccarella - prosegue Fini - ha voluto soltanto che gli italiani sapessero che alcuni ministri avevano invitato a dichiarare inammissibile il referendum. Senso dello Stato e delle istituzioni imporrebbe invece il rispetto dei ruoli. Un ministro o un presidente della Camera o del Senato non può dire ciò che auspica, soprattutto se questo lede l’autonomia di un organismo come la Corte». Il leader di An lancia poi un «appello» ai cittadini. «Andate a firmare per il referendum» dice Fini «perché 23 partiti e partitini sono un lusso che l’Italia non si può permettere».
Un monito per la difesa del referendum sposato anche dai capigruppo di Forza Italia e An alla Camera. Ignazio La Russa e Elio Vito che prendono spunto dal «caso Vaccarella» ma anche dall’aggressione subita da Mario Segni a piazza San Giovanni, per chiedere al governo «di mettere in atto le misure necessarie perché il diritto a raccogliere le firme venga esercitato pienamente». E, mentre Altero Matteoli chiede «un chiarimento politico in Parlamento», all’attacco va anche il radicale Daniele Capezzone. «È paradossale che un pezzo della politica italiana, anziché un passo indietro, ne faccia altri tre in avanti, rinnovando una tradizione trentennale di sabotaggio dei diritti referendari dei cittadini. La politica la smetta di fare pressing». Sulla vicenda, infine, si esprime anche uno dei personaggi finiti sul banco degli imputati per le «interferenze», ovvero Fausto Bertinotti. «L’autonomia della Corte non è in discussione. È necessario agire in ogni modo perché le azioni al fine di organizzare il referendum siano preservate da ogni incursione, quale che sia la valutazione personale». Bertinotti ritorna poi sulla questione in serata, non appena la Consulta rende noto di aver respinto le dimissioni di Vaccarella.
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