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Cei: "Aborto ed eutanasia negano il futuro all'Italia"

Il monito dei vescovi: "Troppe energie spese sulla possibilità di sopprimere una vita. Si fa troppo poco per le cure palliative, soluzione rispettosa della dignità della persona"

Cei: "Aborto ed eutanasia 
negano il futuro all'Italia"

Roma - "Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere quando una vita non merita più di essere vissuta". È il monito che arriva dalla Cei, contenuto nel Messaggio per la 30^ Giornata nazionale per la vita che si celebrerà il 3 febbraio. "Servire la vita - scandiscono i vescovi - significa non metterla a repentaglio sul posto di lavoro e sulla strada e amarla anche quando è scomoda e dolorosa, perché una vita è sempre e comunque degna in quanto tale. Ciò vale anche per chi è gravemente ammalato, per chi è anziano o a poco a poco perde lucidità e capacità fisiche".

"Stupisce, poi, che tante energie e tanto dibattito - ammoniscono ancora i vescovi - siano spesi sulla possibilità di sopprimere una vita afflitta dal dolore, e si parli e si faccia ben poco a riguardo delle cure palliative, vera soluzione rispettosa della dignità della persona, che ha diritto ad avviarsi alla morte senza soffrire e senza essere lasciata sola, amata come ai suoi inizi, aperta alla prospettiva della vita che non ha fine".

"I figli sono una grande ricchezza per ogni Paese: dal loro numero e dall’amore e dalle attenzioni che ricevono dalla famiglia e dalle istituzioni emerge quanto un Paese creda nel futuro. Chi non è aperto alla vita, non ha speranza. La civiltà di un popolo - scrivono - si misura dalla sua capacità di servire la vita, dai suoi esordi all’epilogo. I primi a essere chiamati in causa sono i genitori: il dramma dell’aborto non sarà mai contenuto e sconfitto se non si promuove la responsabilità nella maternità e nella paternità".

No a un figlio ad ogni costo Un figlio si desidera e si accoglie, non si mette al mondo ad ogni costo per propria gratificazione. Nel messaggio i vescovi italiani ribadiscono il concetto di maternità e paternità come "ricchezza" e non come diritto da esercitare anche a costo di "pesanti manipolazioni etiche". Servire la vita, sottolineano i presuli, significa considerare i figli non come cose da mettere al mondo per gratificare i desideri dei genitori ma come persone incoraggiate a diventare autonome a loro volta, educate alla libertà e alla responsabilità.

"Un figlio - si legge nel testo - si desidera e si accoglie, non è una cosa su cui esercitare una sorta di diritto di generazione e proprietà".

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