Cultura e Spettacoli

«Celentano mi ha lanciato ma io devo tutto a Mike»

«Il Molleggiato all’inizio mi cacciò: avevo la erre moscia»

«Celentano mi ha lanciato ma io devo tutto a Mike»

«Quando sbarcai a Milano ero un ragazzino malato di rock and roll, Reverberi mi portò alla Ricordi dove incisi tre 45 giri che non comprò nessuno. Cantavo ma avevo un brutto problema, non pronunciavo la erre, non mi usciva proprio. Infatti incontrai Celentano che non mi filò neppure. Il primo ad aiutarmi fu Mike Bongiorno; era molto generoso, mi faceva cantare ai suoi spettacoli e mi fece fare anche qualche Carosello. Così andai a scuola di dizione; mi feci un mazzo così. Una cosa pesantissima, gli sforzi mi provocavano nausea, giramento di testa, un sacco di disturbi, ma ce la feci... Una sera, mentre strimpellavo, Adriano mi rivide per caso e disse: “ueh, ma tu non sei quello che non aveva la erre? Adesso ce l’hai, canti bene, vieni a trovarmi che devo farti una proposta». Così, da un piccolissimo gruppo di carbonari, nacque il glorioso Clan e la stella di Ricky Gianco, autore e cantautore dalle mille svolte artistiche. Chi non è addentro alle storie musicali lo ricorda come autore di classici quali Pregherò, Ora sei rimasta sola, Un aquilone, Nel ristorante di Alice, Pietre, Pugni chiusi, ma lui è stato un tedoforo della canzone impegnata anni Settanta (Un amore, A Nervi nel ’92, Fango sono brani simbolo del cantautorato alternativo dell’epoca), ha inciso con i Toto (È r’n’r) e con i grandi del country (Non si può smettere di fumare), ha reinventato con Gianfranco Manfredi il teatro-canzone di gaberiana memoria, è uno dei promotori del Mantova Musica Festival e la sua carriera si riassume nel nuovo cofanetto Ricky Gianco Collection ricco di inediti solo voce e chitarra e curiosità come brani swing con l’orchestra.
Baffoni a nascondere il suo sorriso sornione, fa dell’ironia, spesso caustica, il motore con cui forgia la sua arte popolare e racconta la sua vita. Quando guarda indietro a tratti il suo sguardo s’illumina («perché è stata una grande avventura»), a tratti s’incupisce («quanti amici se ne sono andati, da Tenco a De André»). Lui, lodigiano di origine sarda, è cresciuto a Milano ma con un piede a Genova. «Come dimenticare le giornate a Sampierdarena con Paoli, Tenco, De André fatte di tanti discorsi, fiumi di alcol e di sogni in un mondo che non c’è più, dove ci si divertiva anche giocando a monetine». Amicizie coltivate e ricambiate per decenni. «Con Paoli siamo sempre in sintonia. Abbiamo inciso insieme Parigi con le gambe aperte, il seguito di Quattro amici al bar che ha avuto un buon successo, e non ha mai saltato un festival di Mantova. De André ha duettato con me in Navigare. Era pigro; ci misi un mese a convincerlo, il giorno della registrazione andai a prenderlo a casa, lui mi invitò a prendere un caffè, a chiacchierare e a scherzare ed arrivammo in studio con tre ore di ritardo e tutti i tecnici che ci stavano aspettando. Ma quando iniziava a cantare si faceva perdonare tutto».
Ma torniamo ad Adriano Celentano e al Clan, che per molti ex adepti è ancora fonte di grandi polemiche. «Non certo da parte mia. Con Adriano sono rimasto in buoni rapporti e ho un ottimo ricordo di quel periodo, anche se tante cose non le capirò mai. Ad esempio il diktat secondo cui tutte le canzoni dovevano essere firmate anche da Miki Del Prete. Comunque Adriano aveva delle grandi intuizioni. Fummo il primo gruppo di lavoro indipendente; quando entrai mi chiamavo ancora Ricky Sanna, poi una mattina alle 5 squillò il telefono e Adriano mi disse: “ueh, ti piace Gianco come nome d’arte?”, io mezzo addormentato gli dissi ok, e da allora fu il mio nome. Molti non sanno neppure che mi chiamo Riccardo Sanna. Adriano mi fece cambiare nome perché la Ricordi voleva farmi causa per aver cambiato casa discografica. “Così citeranno uno che non esiste”, mi disse. Il primo disco con il Clan fu Tu vedrai, seguito di Pregherò, con sul retro Unchained My Heart, incisa trent’anni dopo da Joe Cocker». Però l’idillio finisce presto e Ricky Gianco taglia la corda... «Son sempre stato un ragazzo ribelle. Lui amava circondarsi di una corte ma io non sono mai stato un cortigiano. Così, quando andò a Capri a girare un film e disse: “dovete accompagnarmi tutti“, io decisi di mollare».
E si dedica da solo al rock, il suo vero amore. «Tornai allo stile di Dubbi, un rock con frasi tipo abbi dubbi ubbidabodeio per cui alla Ricordi mi presero per matto», riscosse un buon successo e nel ’64 fu invitato a Londra al Christmas Show dei Beatles. «Che emozione: ascoltandoli piangevo come un vitello. Mi proposero di suonare in apertura dei loro concerti italiani ma rifiutai, me la facevo addosso solo al pensiero di cantare prima di mostri come loro. Siamo stati insieme un paio di giorni: Harrison non parlava mai, Ringo sembrava un pappagallo. Si vedeva che Paul e John erano i leader. Paul era esuberante mentre John era già cervellotico e intellettuale, sempre pieno di battute sarcastiche». In quei giorni conobbe anche Brian Jones. «Era completamente fuori di testa. Comunque nella diatriba Beatles Rolling Stones io sto dalla parte dei primi. Gli Stones hanno rinnovato il rock blues; i Beatles hanno rivoluzionato la musica e il costume». Ma il suo cuore di rocker non batte per i «baronetti» ma per i Toto. «Ero troppo giovane ai tempi dei Beatles; la mia esperienza più emozionante è stata incidere l’album È r’n’r insieme coi Toto e a James Burton, maestro della chitarra e chitarrista di Elvis».
Ma nei favolosi sixties, da noi il rock è ancora roba per «pochi capelloni», così Gianco colpisce la platea di Sanremo con Pietre. «Non ci credevo molto, era solo una canzoncina anche se ironica e piena di doppi sensi. La sua forza sta nell’interpretazione di Antoine. Lui non sapeva l’italiano, prima di entrare in scena gli dissi: “hai imparato le parole?”, lui rispose: “non preoccuparti le ho scritte su un foglietto”. Lì cominciai a tremare; infatti lo perse immediatamente, così cominciò a inventare le parole, a saltare e ballare in mezzo ai coristi. Fu il successo. Eliminata la prima sera, fu ripescata in finale e vendette milioni di dischi». Qualche buontempone a cui non andò giù il successo disse che era un plagio di Rainy Day Woman di Dylan. «Balle. La mandammo ai suoi avvocati che dissero: “tutto regolare”. In realtà riprendeva il tema di una marcia folk di New Orleans». E pietre, ne ha più tirate o più ricevute nella sua vita. «Non ho nemici. Né tirate né ricevute, tranne quella volta al Cantagiro del ’65, a Pesaro, dove la gente a cui non piacevano i capelloni ci tirò davvero i sassi». Tornando a bomba, distinguendosi dai mille seguaci di Dylan, Ricky Gianco ha scritto Zimmerland, divertente e irriverente parallelo tra Dylan e Gesù, prendendo per i fondelli il divo Bob. «Per carità, lo amo ancora oggi ma trovo che, dopo la svolta dall’elettrico all’acustico che sconvolse l’America sia diventato un ex poeta, o perlomeno si sia stufato di fare il poeta». Mentre Gianco proprio in quegli anni ha scoperto l’impegno politico e sociale. «Nel ’68 ho trovato la risposta a tante domande e ho smesso con le canzoncine. Quando ho sentito O sole mio cantata da Elvis ho capito cosa fosse il sistema, che aveva risucchiato un idolo ribelle usandolo e trasformandolo in una marionetta. Il rock è nato da una generazione di ragazzini che nessuno ascoltava, ma poi il mercato lo ha fatto suo inventando la musica per teen ager. Così ho cercato di creare un suono indipendente in Italia. Ho prodotto Demetrio Stratos, il Canzoniere del Lazio, Albero Motore. Ho ritrovato Nanni Ricordi e ho legato con Gianfranco Manfredi. Abbiamo cominciato a cantare storie vere, crude, scomode, devo dire con grande successo sul mercato alternativo ma non solo. Un amore, Il fondo dell’amore, A Nervi nel ’92, Fango sono ormai degli inni. Lo spettacolo Zombie di tutto il mondo unitevi a Nervi ha avuto migliaia di repliche. Poi smettemmo perché la situazione politica s’era surriscaldata».

E continua ancora oggi i suoi canti alternativi e di impegno sociale, negli spettacoli con Fernanda Pivano o in La terra della mia anima con Massimo Carlotto (in tour ora per l’Italia) o col Mantova Festival: «dove io, Paoli, Finardi, Alice ed altri amici celebreremo un grandissimo cantautore: Giacomo Puccini».

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