Cagliari - Presidente Massimo Cellino, come mai ce l’ha con Soru?
«Io sono un vecchio liberale e perciò non mi sono mai seduto a tavola con gli ex comunisti. In questo caso mi ha colpito il tentativo di Renato Soru di mettersi sullo stesso piano di Silvio Berlusconi. Ma quello ti mangia, mio caro».
Scusi, ma lei non è amico personale di Soru?
«Da quando eravamo ragazzi ma qui è in discussione un’altra materia. Un conto è fare impresa, da solo, e un conto è amministrare una regione come la Sardegna facendo il despota, dimenticando gli impegni, ignorando le persone».
Quali impegni, scusi?
«Sette o otto anni fa, quando io ero presidente del Cagliari calcio da oltre dieci anni, Renato venne da me e mi chiese di dargli una mano: stava impiantando Tiscali e mi riferì un dato che non conoscevo. Mi disse: lo sai che il 70-80% delle utenze telefoniche in Sardegna sono intestate a enti pubblici? Quel numerino semplice semplice descriveva la realtà economica fragile della Sardegna. Quando venne eletto governatore pensai: ora ne terrà conto. E invece niente. Anzi ha fatto il contrario».
A cosa si riferisce in particolare?
«Al taglio indiscriminato di fondi destinati a scuole, a piccole associazioni culturali che di fatto riduce a pezzi il tessuto dell’economia sarda. E lo segnalo senza nascondermi le difficoltà nel misurarsi con una gravissima crisi. Guardi, lo dico con la morte nel cuore: la Sardegna non ha mai vissuto un declino simile. E i giovani che di solito sono il motore della ripresa, hanno perso ogni speranza, non sognano neppure la rivoluzione».
Lei, Cellino, è diventato il difensore degli ultimi?
«Certo. Sono i miei clienti, i clienti del Cagliari calcio, quelli che rinunciano a comprare un paio di scarpe per acquistare il biglietto allo stadio. Davanti a un buon comunista io mi tolgo il cappello, non davanti a Soru che pensa di riaffermare la propria identità vestendosi con i completi di velluto».
Dica la verità, Cellino: non è che il suo disappunto nasce dalla mancata sponsorizzazione del Cagliari calcio da parte di Soru?
«Ci sono rimasto male, inutile negarlo. Anche perché il Cagliari, qui, rappresenta più di una squadra di calcio, è una sorta di piccola patria. E quando vedo negata la sponsorizzazione al Cagliari calcio mentre vengono destinati 100 milioni di euro al settore della pubblicità, be’ il mio disappunto monta».
Anche lei, 5 anni fa, provò a candidarsi con Pili: non andò benissimo...
«Esatto, ma feci il percorso inverso: avevo puntato sul cavallo perdente ma non riuscii a tirarmi indietro. Non lo feci per calcolo, insomma».
A sentire Soru, l’elezione in Sardegna è diventata una guerra di religione...
«Il presidente Berlusconi ha compiuto una scelta che gli fa onore. Per non correre rischi, avrebbe potuto puntare su un politico di razza e invece ha avuto coraggio nello schierare Cappellacci, una faccia nuova. In lista c’è stato un rinnovamento autentico, è arrivata gente capace, che ha dimostrato di saper lavorare collegialmente. Alla fine, vedrete, Cappellacci ce la farà e sarà un doppio affare per la Sardegna».
In che senso?
«La gente, da queste parti, non dimentica: Soru aveva promesso che non si sarebbe più ripresentato e invece eccolo in prima fila, dopo tutti quei bisticci nella sua maggioranza
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