La cellula integralista smantellata ieri aveva base nei centri islamici di viale Jenner, via Padova e via Quaranta ma cercava «martiri» persino in carcere tra i detenuti Arruolavano i kamikaze anche a San Vittore

Il tunisino al vertice dell’organizzazione abitava a Cologno. Secondo la Procura gli estremisti reclutavano «mujaheddin» pronti a sacrificarsi in nome di Allah

Un nome. Sabri Dridi, 37 anni, tunisino. Secondo la Procura e gli investigatori del Ros, la mente dell’organizzazione terroristica smantellata nell’operazione condotta ieri dal Ros. Un indirizzo. Via Francia 6, Cologno Monzese. La sua abitazione. Altre annotazioni degli investigatori. Viale Jenner, via Padova, via Quaranta.
Sono Milano e l’hinterland gli snodi fondamentali della cellula salafita. Scrivono i magistrati nelle 660 pagine di richiesta di arresto che «si ritiene di aver individuato» nel capoluogo lombardo «un gruppo molto ristretto di islamisti, più volte emersi in diversi ma specifici contesti investigativi e legati tra loro da un evidente fanatismo». Ancora, «si è, di fatto, in presenza di una cellula ben integrata all’interno del così detto “network globale” fondato sull’integralismo religioso».
È nell’abitazione di Cologno che «sono state adottate decisioni che hanno riguardato le dinamiche criminali dell’associazione», è sempre in città che gli affiliati della cellula ligure arrivano per effettuare colloqui nel carcere di San Vittore - dove secondo gli investigatori erano reclutati potenziali kamikaze -, ed è ancora a Milano che «è stata programmata ed organizzata l’attività di preparazione, procacciamento di documenti falsi e di compimento di atti» finalizzati «ad agevolare l’immigrazione clandestina in Italia ed in altri paesi dell’Unione Europea».
Ma non è solo a casa di Dridi, che si tessono le trame del gruppo. Tra i luoghi attorno ai quali la cellula gravitava, c’erano anche i principali centri culturali islamici. Su tutti, la moschea di viale Jenner, quella di via Quaranta e il centro di via Padova. Un esempio. Dridi è al telefono con un tunisino, e i magistrati sottolineano come «allo scopo di far comprendere in quale moschea si trova, si esprime con la solita frase “di guerra”, e poiché il riferimento è all’Istituto culturale islamico di viale Jenner, si può apprezzare come gli interlocutori intendano quella moschea come centro importante di reclutamento e formazione per i mujaheddin».
Ancora, la mente del gruppo «frequenta assiduamente i più noti luoghi di culto a orientamento radicale». Ovvero, «i centri milanesi di via Quaranta e via Padova», e di nuovo «l’Istituto culturale islamico». Non solo «luoghi di aggregazione e di discussione», ma anche «di elaborazione di strategie operative». L’organizzazione, inoltre, mostra «conoscenza e interesse per i soggetti più carismatici che svolgono le funzioni religiose nella moschea di via Quaranta (dove Dridi si reca abitualmente), che si distingue per l’orientamento particolarmente ortodosso dei suoi frequentatori e per il tenore integralista delle prediche che vi vengono effettuate».
Non solo appartamenti privati, centri islamici e moscheee. I proseliti, la cellula, li faceva anche in carcere. A San Vittore, durante le ore concesse per i colloqui.

«Nella casa circondariale di San Vittore - annotano i pm Nicola Piacente e Armando Spataro - giungono diversi cittadini nordafricani, per cui C.S. (uno degli arrestati, ndr) chiede al fratello altre copie del Corano che dovrà distribuire», visto che «all’interno della struttura penitenziaria lo stesso svolge anche la funzione di Imam».

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