MilanoNessuna differenza, lo giuro. La Prima della Scala ai tempi della crisi, che il piagnisteo dandy annunciava crepuscolare e penitenziale come una Penultima, è tale e quale a tutte le altre. Dal taccuino dei solerti cronisti, e dagli scatti degli esagitati fotografi: auto blu come motorhome, autisti come modelli di Armani, perle, diamanti, diademi, smoking, scollature, spacchi, abbronzature, Rolex, sete, tacchi a spillo, papillon, scialli, pellicce e tanto, tanto, tanto silicone.
Questa, non altro, la Prima ai tempi della crisi. Uguale a se stessa, come una messa cantata ineffabile e incorruttibile, al di sopra e al di fuori di qualsiasi contaminazione esterna, più forte di qualunque condizionamento e di qualunque congiuntura. Unica differenza rispetto agli anni scorsi, certamente non il sit-in degli studenti anti-Gelmini (la contestazione alla Prima è un classico). Piuttosto, lo stupendo tram depoca tutto ricoperto di luci natalizie, parcheggiato sulla piazza come un magico Swarovski in pezzo unico: contemplando lopera, mi chiedo con una certa mestizia se abbiano usato questo contro quel poveraccio di Giuseppe Filianoti, il tenore tramvato 24 ore prima di realizzare il sogno di cantare alla Prima della Scala.
Eppure, nonostante mi appaia la Prima di sempre, voglio essere corretto: se il conformismo nazionale impone di dire per forza che questanno è una Prima sottotono, la prima della sobrietà e della penuria, non cè problema. Mi adeguo e prontamente riferisco.
Allora: hanno un bel dire pensionati, disoccupati, cassintegrati, ma anche alla Scala tira unaria decisamente poco allegra. Mentre loro stanno in fila allo sportello per ottenere la social-card, qui cè un sacco di gente che deve fare coda per ottenere un flash, un registratore, un microfono a favore di telecamera. I volti di questa umanità dolente esprimono tutte le difficoltà del momento: mentre noi ce la raccontiamo, qui ci sono persone che non hanno più soldi per comprarsi un trilocale a Saint Moritz. Peggio: a Natale non riusciranno a mettere sotto lalbero nemmeno una Range Rover per i figli.
Basta vedere Valeria Marini: questanno si presenta con un vestito di sua ideazione. Per arrangiarsi in qualche modo, ha usato stoffe e veli così lisi da lasciar vedere tutto quanto, sotto. Lì attorno, esseri umani dotati di particolare sensibilità osservano da vicino il dramma con tanta partecipazione.
È una Prima così, tutta particolare. Gli uomini e le donne che sfilano verso la platea devono accontentarsi di un biglietto sdrucito e risicato, dal prezzo politico di 2.000 euro. Più che altro è un valore simbolico, per venire incontro alle difficoltà del momento.
Tutto intorno, duemila rose bianche per creare un poco di arredo e di atmosfera. È il minimo. Diamine, questa era e resta pur sempre la Scala, luogo un tempo frequentato da gente chic e danarosa. Sia chiaro comunque, precisano dal Comune, che lobolo floreale è offerto dallUnione del commercio. Segni dei tempi. Effetti del momentaccio.
La Prima è talmente falcidiata dalla crisi, che persino la cena di gala a Palazzo Marino, dopo lo spettacolo, risulta veramente frugale. Giusto un pensiero. Sera pensato a un rinfreschino con olive e patatine, ma alla fine qualcosa sè rimediato. Anche qui, sentite grazie allo sponsor. Menù: spuma di fois gras, hot dog di pollo (tu pensa: ridotti allhot dog). Quindi tartare di salmone, risotto alla milanese con zafferano afghano, dadolata di ossobuco, panettone, cioccolato al pan speziato. Gli invitati sono 850. Costo totale 350mila euro. Faccio subito un rapidissimo calcolo: sono 411,76 euro a testa. Via, chi è che al giorno doggi mangia con meno di 411,76 euro? Non a caso, con raro senso del mestiere, i solerti cronisti parlano di «cena allinsegna dellausterità». E i registi delloperazione si prendono la briga di ornare tutto quanto con edere, mirti, eucalipti. Perché si capisca, come alla vigilia hanno specificato sorridendo, «che siamo al verde»...
Sinceramente, mi fermerei qui. La vera crisi merita rispetto. Meritano rispetto gli italiani che davvero stanno remando nella vera austerità. Non cè niente di peggio della crisi recitata, per sentito dire: diventa unoffesa in faccia a chi effettivamente stringe la cinghia. Se vogliamo spacciare questa Prima come magra ed emaciata, magari solo perché nessun banchiere sè presentato con mezza dozzina di orologi doro per polso e la sua dolce consorte non sfoggia un diamante per ogni dito, procediamo pure. Però attenzione: lamentarsi senza avere un serio motivo per lamentarsi, dicevano i curati di una volta, è peccato da confessare. Non si tratta di essere populisti e retorici: si tratta semplicemente di ritrovare il senso della misura. Di essere giusti.
Più che altro, adesso prepariamoci al seguito.
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