«Centochiodi» di fede per dare l’addio al cinema

Esce venerdì il nuovo e ultimo film dell’autore bergamasco

«Centochiodi» di fede per dare l’addio al cinema

da Roma

È ora di appendere gli affanni ai Centochiodi di Ermanno Olmi, il poetico congedo del maestro bergamasco, che con il suo ultimo film, quasi un lascito immanente e trascendente al tempo stesso (dal venerdì nelle sale, quando il regista terrà una lectio alla Normale di Pisa, e forse in lizza per Cannes), spande il balsamo della speranza sui nostri cuori. «Voglio andare in cerca del sentimento della realtà della strada, che si trascura troppo», rivela un Olmi così intenso, mentre, avanzando negli anni, procede verso la propria verità d’uomo e di artista, da chiamare applausi e concentrato silenzio, quando parla, lui debole d’udito, i microfoni gracchianti invano: la magia, ormai, è scesa in platea. «I film di fiction mi hanno stancato, così tornerò al documentario, andando a scoprire il sentimento con Terra madre, documentario sui contadini del mondo venuti a Torino, per proporsi come protagonisti della società futura e con un’indagine sul territorio Falck di Sesto San Giovanni, laddove finisce l’era industriale e comincia un’altra realtà», annuncia l’autore classe 1931, che trascorse l’infanzia tra il mondo operaio della periferia milanese e quello contadino, a Treviglio, nella campagna intorno a Bergamo. Ma la sala del Quattro Fontane, ieri, è venuta giù, quando Olmi, candidamente, tra lacrime trattenute e tremolio di mani esperte, oltre gli insulti del tempo, ha confessato: «Vorrei fare un lungo documentario in cerca della gioia, intitolato: Chi vuol esser lieto, sia». Battimani, sorrisi, cordialità sincera hanno quindi accompagnato quest’intenzione, espressa come fanno i bambini, quando sanno d’averla azzeccata.
Una qualità rarissima, quella di Olmi, soprattutto nelle circostanze attuali: l’«amoroso tocco», che qui lo spinge a raccontare la storia di un professore di Bologna (il modello, attore, documentarista e scultore israeliano Raz Degan, convincente nel ruolo del professorino ispirato), che invece di dedicarsi alla carriera accademica, abbandona la sua vita di carta e va a vivere sugli argini del Po, eleggendo a proprio domicilio un rudere in pietra. Da subito, intorno a quel Nazareno, che s’aggira sulle rive del fiume come nell’orto del Getsemani (il buio non lo spaventa, guarda con occhi stellati le acque placide del fiume), si aggrega la compagine dei semplici, contadini e pescatori, spesso seduti alla mensa povera di lui, ricercato dalla polizia per un singolare reato. Prima di morire come docente, per rinascere come Cristo tra gli Apostoli (i vecchi del Po), il protagonista di questa parabola, prodotta da Luigi Musini e Roberto Cicutto, con Cinema11 e Rai Cinema e con il contributo del ministero per i Beni Culturali, ha inchiodato al pavimento i libri antichi della biblioteca del vescovado. Con i chiodoni delle capriate, poi. «Non c’è conflitto tra cultura e religione. Ma non dobbiamo assoggettarci alle idee codificate: la vera educazione non è il rispetto delle regole, cioè la disciplina, bensì il rispetto degli uomini. Nessuna religione m’imporrà, mai, l’obbligo di non rispettare gli uomini! Invoco la libertà di derogare alle regole, quando il rispetto degli altri lo impone», chiarisce Olmi, colpito dai bimbi islamici, inneggianti, in tivù, al martirio della madre-kamikaze. «Sono per la libertà dell’uomo e il mio povero Cristo testimonia che non occorre andare in croce, per comportarsi secondo le indicazioni cristiane. Cosa fa Cristo-uomo? Dice no. La vera vittoria è il perdono. Se in tante situazioni tragiche vedessimo che valichiamo il limite della decenza, molte cose si risolverebbero», afferma l’autore, che nel suo film a difesa del libro rievoca, con l’accurata fotografia del figlio Fabio, le atmosfere dolci dei balli all’aperto, sulle note di Non ti scordar di me. «Cristo si è ribellato, abbattendo il tempio delle regole e andando contro il dio che chiede il sacrificio umano. Le religioni sono diventate una minaccia, ma sono convinto che Cristo abbia vissuto in allegria. Purtroppo, il profitto rende merce pure l’innamoramento dei ragazzini, che invece desiderano testimoniare i sentimenti, magari davanti a un lampione.

Ma attenzione: quando non siamo leali col nostro sentimento, la persona, dentro di noi, ci interroga». E Raz Degan? «Il tempio è dentro di noi», concorda, dopo aver piantato più di cento chiodi, senza sentire un grido di dolore.

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