Roma

Il centro commerciale? Meglio del fuori porta

Ogni fine settimana i «mall» all’americana si affollano per la spesa ma anche per gli incontri

Sole, prati fioriti e temperature miti portano, per paradosso, molti romani a trascorrere il fine settimana in luoghi chiusi come i centri commerciali. L’obiettivo non è solo - come si potrebbe pensare, fare shopping, ma trascorrere qualche ora in compagnia, al fresco dell’aria condizionata, guardando le vetrine di negozi e griffe differenti. Insomma, ingannare il tempo, divertirsi.
Il centro commerciale è diventato meta prediletta della classica gita domenicale, attesa e preparata durante la settimana. Se a fare la spesa si può andare con jeans e scarpe comode, qui si deve avere il look giusto. Basta guardare donne e adolescenti per rendersi conto dell’attenzione con cui vengono scelti capi e accessori. Non si tratta di semplice moda, ma di rispondere a delle aspettative. Visto il diffondersi della shopping center mania, non si sa chi si potrebbe incontrare, magari il futuro partner. Via, quindi, vestiti larghi e scarpe basse - pure se si è usciti per comprare un mobile - meglio tacchi e minigonne per lei, maglie strette per lui.
Per raggiungere queste strutture nel weekend, in molti casi, possono essere necessarie ore. Lunghe file di auto incolonnate sul grande raccordo anulare, al casello, nelle vie di accesso o sulla rampa per accedere al parcheggio. La sicurezza del posto auto, così raro in città, basta, a tranquillizzare i più nervosi, unita alla promessa di ciò che si troverà oltre l’ingresso. Se dall’esterno, a volte, sembrano prefabbricati o caserme, all’interno i Centri sono un susseguirsi di luci, specchi che ne moltiplicano l’effetto, colori, odori e sapori diversi. Ci sono ristoranti di più tradizioni culinarie, fast food, spazi gioco, aree verdi, corridoi spaziosi come viali, dove passeggiare, senza dimenticare attrazioni specifiche.
Cinecittàdue, oltre a nove punti ristoro, vanta uno spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea. Alla Romanina ci sono undici locali dove mangiare - dall’hamburger al kebab, passando per friseria, gelati e frullati - centro abbronzante, parrucchiere. L’ultimo nato, RomaEst, cavalcando la tendenza, ospita duecentoventi negozi, un cinema con dodici sale, quindici tra ristoranti - anche arabo e giapponese - caffetterie, bar e grill. E ancora, parrucchieri, lavanderia, sartoria, solarium, animazione, playcart per bimbi da uno a quattro anni, giochi e la stazione di un coloratissimo trenino, con ferroviere in divisa, per attraversare i corridoi. Pure il monomarca Ikea pensa ai più piccoli con aree loro riservate gestite da animatori, laboratori e, a Porta di Roma, una biblioteca per lettori da tre a dieci anni. La maggior parte dei servizi di intrattenimento di questi e altri centri commerciali è gratuita. Non è necessario acquistare nulla per divertirsi - in effetti, rapportate a quante ne entrano, le persone che realmente fanno shopping sono poche - né bisogna pagare. Così, la gente sopporta le lunghe code per arrivare, il «traffico», questa volta di pedoni, per muoversi all’interno del Centro, scale mobili e locali affollati. Anzi, è la stessa folla a diventare uno dei fascini della struttura, perché consente di amplificare il divertimento e condividerlo.
Lo shopping-center, per molti, diventa la città ideale: c'è sempre parcheggio, si può passeggiare, rilassarsi, concedersi la fantasia di un viaggio, semplicemente assaggiando ricette di tradizioni culinarie diverse, provare il capo alla moda anche se troppo caro per le proprie finanze, guardare e farsi guardare, incontrare e, con un po’ di coraggio, conoscere. È il trionfo di quella che i sociologi definiscono «acquistosfera», luogo in cui tutto è in mostra e in vendita.

Non tanto l’oggetto, ma ciò che rappresenta: una possibilità di trasformazione, gratuita e credibile, almeno per qualche ora.

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