
S'intitola Anna A. l'opera in prima mondiale dal 28 settembre alla Scala. Un titolo che segue il recente successo de Il Nome della Rosa di Francesco Filidei tratto da Umberto Eco: segno di una Scala che custodisce il fuoco della tradizione, aprendosi al presente. Non solo museo, insomma.
Sgombriamo subito il campo da due equivoci. Primo: Anna A. è super partes. La compositrice è donna, di Roma, 50 anni tondi: Silvia Colasanti. La protagonista è donna, la poetessa russa Anna Achmatova. Ma non si tratta di un'opera pro o sulle/per le donne: qui si parla di libertà, intesa come scelta prima ancora che condizione. Secondo: tutto si svolge nella Russia staliniana, ma l'opera prescinde dall'attualità e dal conflitto in corso, anzi non vuole proprio averci a che fare. Lo spiega Colasanti, che ha lavorato al fianco di Paolo Nori, nel 2022 al centro di un caso nazionale per un corso su Dostoevskij minacciato di censura, l'episodio accese un vivace dibattito pubblico. "Della vita intensissima di Anna - osserva Colasanti - abbiamo scelto i momenti in cui si intrecciano arte e potere".
Libertà. Parola immensa, dunque abusata.
"La intendo come responsabilità, come capacità di non cedere al potere seduttivo del Potere, unico personaggio non storico dell'opera, tradotto in musica con tratti incantatori. È un potere intelligente, che conosce la psicologia umana e la manipola. Io e Nori ci siamo ispirati al Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov: Dostoevskij ricorda che il potere attecchisce là dove l'uomo rinuncia alla responsabilità della libertà.
In scena Anna è doppia: cantante e attrice.
"L'attrice rappresenta l'ultimo anno di vita di Anna, il 1966, è in ospedale, e conversa con l'amica Lidia. La cantante scava invece nel passato: perciò il sottotitolo è opera in frammenti, flashback che rendono le tappe di un'artista".
Da quando lavorate a questo progetto?
"Dal gennaio 2022. La Scala mi aveva commissionato un'opera. Amo la poesia e la letteratura russa, così ho pensato alla Achmatova. Ho telefonato a Paolo Nori, che il destino voleva stesse proprio scrivendo un libro su di lei. Abbiamo iniziato allora, e tengo a precisare: prima dello scoppio della guerra".
Sostiene che l'opera è un luogo in cui si provano sentimenti. Eppure certa musica contemporanea nega il piacere, preferendo il ruolo di mattone penitenziale. Qual è la sua filosofia?
"Credo che le storie si capiscano meglio se si è coinvolti emotivamente. Conoscenza e analisi sono imprescindibili, ma diventano più profonde passando dal sentire".
E l'arte concettuale?
"Mi interessa il presente: commuoversi è presente. Siamo diventati più sofisticati, quindi dobbiamo raffinare gli strumenti per raggiungere l'obiettivo: che non muta".
Oggi l'opera non è più il genere d'arte italiano per eccellenza. In tanti la considerano sacrale, elitaria. Pregiudizio o verità?
"Parto da un assunto. I sentimenti li provano tutti, e l'opera porta in scena la vita, pur trasfigurandola. E la vita riguarda tutti".
All'estero i compositori italiani restano associati soprattutto all'opera, un po'come le nostre orchestre?
"Viviamo in una rete di connessioni planetarie, però abbiamo un'identità forte".
Per dire che l'opera è dentro di noi?
"Per me, sì. Sono legata alla parola, scrivo sulla parola. Sono cresciuta con l'opera".
Quali sono i suoi melodrammi del cuore?
"Sono legata al barocco. E sono felice che questa mia nuova opera resti in scena alla Scala fino al 2 dicembre".