Politica

Il centrodestra: in arrivo solo più tasse

Adalberto Signore

da Roma

Anche sulla Finanziaria, nel centrodestra restano le sfumature di sempre. Con un secco «no» di Forza Italia, An e Lega alla Finanziaria illustrata ieri dal ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa davanti al Consiglio dei ministri. E l’ormai consueta posizione aperturista dell’Udc. Al punto che fin dalle prime ore della mattina il segretario centrista Lorenzo Cesa fa sapere che «se la manovra sarà rigorosa come chiede l’Ue» l’Udc è disposta ad appoggiarla anche nelle Aule parlamentari. «La valuteremo - spiega Cesa - senza pregiudizi. Per questa ragione ho convocato un gruppo di lavoro che entri nel merito di dati, cifre, impostazioni». Conferma il vicepresidente del Senato Mario Baccini. «Aspettiamo i documenti del governo - spiega l’esponente centrista - e poi decideremo con serenità». Mentre è decisamente più critico il portavoce del partito Michele Vietti, secondo il quale «si profila una Finanziaria di inasprimenti fiscali più che di investimenti».
Da Forza Italia, invece, arriva una netta presa di distanze. Con l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti che grida al «si salvi chi può». Perché, spiega il vicepresidente della Camera, «quando passeranno dalla discussione all’azione saranno più tasse, meno sanità e meno pensioni». E anche sulle pensioni, aggiunge, «si sta creando una grande incertezza». Sul punto è molto critico l’ex sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi. È «l’imbroglio sulle pensioni», dice il senatore di Forza Italia, a generare una «manovra senza rigore, senza equità e senza sviluppo» perché «la controriforma» cui si appresta Padoa-Schioppa sarà «onerosa» e riaprirà «il buco nei conti della previdenza». Deciso anche l’eurodeputato azzurro Renato Brunetta, che parla di «presa per i fondelli». «A giugno - attacca - Padoa-Schioppa ci aveva detto che la situazione era drammatica, che c’era un buco di oltre un punto di Pil sul 2006 e che la manovra sul 2007 sarebbe stata lacrime e sangue. Adesso spiega che il gettito 2006 ha avuto una dinamica incrementale sul 2005 di 20 miliardi di euro e che questo incremento è strutturale». Insomma, conclude Brunetta, la dimostrazione che «il buco non c’è più» e che «la finanza pubblica è sotto controllo», «merito di chi ha ben governato nei cinque anni precedenti». Ironizza, invece, il vicecapogruppo di Forza Italia alla Camera Maria Teresa Armosino: «Se, come già si prevedeva, le entrate crescono di 20 miliardi, perché la manovra si riduce solo di cinque?». Mentre di «Finanziaria sinistra» parla Isabella Bertolini che accusa il governo di fare «macelleria sociale». «Prodi - attacca la parlamentare azzurra - aumenta le tasse. In compenso assassina lo stato sociale, tagliando pensioni, sanità, servizi. E questo sarebbe un governo di centro sinistra?». E secondo Giampiero Cantoni la Finanziaria del governo Prodi non è altro che «un grande libro dei sogni». «Basata sulle maggiori entrate ottenute grazie al governo Berlusconi - dice il vicepresidente dei senatori di Forza Italia - la manovra evidenzia forti polemiche nella maggioranza e non promuove riforme strutturali».
Critiche anche da An, con Gianni Alemanno che vede intorno alla Finanziaria un «preoccupante alone di mistero». «A un mese e mezzo dalla presentazione del Dpef - spiega - e nonostante una rovente polemica divida la maggioranza, sul significato qualitativo delle misure si sa poco o nulla». Punta il dito sulla Sanità Maurizio Gasparri, perché «con i ticket» la manovra «vuole colpire tutti i cittadini, ma ovviamente anche in maniera particolare categorie ed ambienti che si sono schierati con la Casa delle libertà».
Si affida alla solita immagine colorita il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. «Questa Finanziaria - attacca il coordinatore delle segreterie della Lega - di sinistra ha soltanto il rosso della vergogna». Mentre il segretario della Dc Gianfranco Rotondi rilancia «la politica del confronto».

«La reazione della sinistra radicale agli impegni di Padoa-Schioppa - spiega - prepara un epilogo scontato: o il ministro chiede i voti della Casa delle libertà, oppure se ne va lui».

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