Romano Prodi sè detto perplesso della manifestazione pro-Dico di sabato scorso, un po governativa un po antigovernativa come ormai ci ha abituato questa maggioranza sgangherata. Poteva pensarci prima, quando il suo governo ha posto il proprio sigillo su un provvedimento che ora rischia di impantanarsi nella palude della discussione ideologica. Dire che il governo ha esaurito il suo compito e adesso tocca al Parlamento discutere il ddl Bindi-Pollastrini è mera ipocrisia. Questa storia delle coppie di fatto etero ed omosessuali s'è infilata in una spirale che, con tutti i guai a cui già deve badare l'Unione, abbatterà sui Dico prima una grande caciara e poi partorirà un nulla di fatto.
Dopo la manifestazione pro-Dico arriverà il Family day. Immaginiamo già i titoli del giorno dopo: i quotidiani pro-Dico accosteranno alla foto di due candide ragazze mano nella mano quella di qualche pro-family con un cartello del tipo «gay=invertito», quelli anti-Dico opporranno una bella famiglia con passeggino all'immagine di due maschioni col piercing che slinguazzano in pubblica piazza. Gli uni a tuonare contro le ingerenze vaticane, gli altri a denunciare le derive zapateriste. Servirà a qualcosa tutto questo? No, né ai sostenitori della famiglia tradizionale né alla loro controparte.
Chi ha organizzato la manifestazione di piazza Farnese, con i cartelli «no Vat» e le frasi ingiuriose contro Benedetto XVI, sapeva benissimo che avrebbe provocato delle reazioni dure, ovvie e legittime nel mondo cattolico. Che altro possono pretendere radicali, movimenti, verdi e comunisti se trasformano i diritti civili in un'arma puntata contro il resto della società tanto per spaventare, fare casino e assicurarsi un po' di visibilità? Un film già visto due anni fa, col referendum sulla fecondazione assistita, e tutti sanno com'è finita. Vien da pensare che qualche ultrà dei Dico preferisca non risolvere il problema per continuare a dare un senso alla propria esistenza politica. Invece sul tema delle coppie di fatto - che pur sempre riguarda centinaia di migliaia di persone e non qualche manipolo di esagitati anticlericali - si poteva fare diversamente e meglio, evitando le imposizioni ideologiche e creando davvero le condizioni per il dialogo politico e parlamentare.
Nei centrodestra europei le aperture sui diritti civili sono significative e fondate su un presupposto preciso: no all'equiparazione tra famiglia tradizionale e coppie di fatto, sì all'estensione dei diritti dei singoli che «fanno» coppia di fatto. È la posizione tanto dei popolari spagnoli e della Cdu tedesca, quanto dei Tories inglesi del leader modernizzatore David Cameron. In Francia, Nicolas Sarkozy, puntualizzato al Figaro magazine lo scorso 2 settembre che «il nostro modello di riferimento resta quello della famiglia eterosessuale», ha lanciato all'università d'estate dell'UMP l'idea di un «contratto di unione» che «garantirà alle coppie l'uguaglianza in materia di diritti successori, fiscali e sociali». Tempo fa persino Jean-Marie Le Pen s'è detto non contrario alle unioni omosessuali, in quanto «prova che il matrimonio sta riconquistando un prestigio che si temeva avesse perduto».
Si dirà che in Italia, per una serie di ragioni storico-politiche, la situazione è differente. Ma anche il centrodestra italiano è consapevole che, una volta detto no al brutto pasticciaccio dei Dico che sancisce l'amore per telegramma e realizza una forma di unione dai confini incerti e dagli esiti potenzialmente pericolosissimi, non si può far finta di niente. Sabato scorso Umberto Bossi ha detto che «gli omosessuali hanno pur dei diritti che devono essere riconosciuti per legge, ma se sono gli stessi diritti della famiglia tradizionale è il caos». È una dichiarazione che potrebbe rappresentare la base per superare la confusione che oggi nella Casa delle libertà divide chi dice no e basta (Dico no), chi sostiene la libertà di coscienza (Dico boh) e chi s'è accodato al progetto governativo dei Dico (Dico sì).
Angelo Mellone
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