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"Cercasi piazza per statue cinesi" Firenze in tilt per il dono scomodo

Il regalo del gemellaggio con Ningbo lasciato per un anno in una cassa. E tra 15 giorni una delegazione viene in visita. Le copie di opere della dinastia Song sono alte quattro metri. La richiesta: "Mettetele nel verde". Ma nessuno le vuole esporre

"Cercasi piazza per statue cinesi" 
Firenze in tilt per il dono scomodo

Firenze - Da qualche giorno l’assessore al turismo di Firenze Silvano Gori ha l’aria di uno sposo novello imbarazzato per la visita a sorpresa della suocera: è lì a dannarsi, l’ansia che monta, per capire dove diavolo sono finiti quei candelabri kitsch regalo di mammà. Solo che i candelabri in questione sono due statue da quattro tonnellate. E la suocera è una delegazione di cinesi che ha già comprato il biglietto aereo Ningbo-Firenze per il 25 settembre.

Il conto alla rovescia per evitare la figuraccia è agli sgoccioli. Il sospetto è che a Palazzo Vecchio, dietro le arie da uomini di mondo, di usanze cinesi non ne sappiano poi granché. E così due anni fa, quando hanno deciso di gemellarsi con il grosso centro industriale cinese, hanno spedito come regalo di buon augurio una copia del David di Michelangelo (evergreen della giunta fiorentina che anni fa voleva piazzarne una anche a Ground Zero).

A Ningbo il gentile omaggio è stato accolto con entusiasmo: a tempo di record è spuntato un piedistallo in una piazza centralissima, subito ribattezzata piazza Michelangelo. Per la cultura cinese, del resto, una copia ben fatta non è affatto inferiore a un originale. E con cortesia e magnificenza tutta orientale, la città ha ricambiato raddoppiando: da Ningbo sono partite due statue imponenti: il «Guerriero» e il «Burocrate», pregevoli copie di opere della dinastia Song, sono arrivate a Firenze accompagnate da una confuciana richiesta: «Che siano collocate in un posto verde e vicino all’acqua». Quattro tonnellate di pietra per quasi quattro metri d’altezza cadauna. Ed è scattata la sindrome del genero. «Maremma, i cché ll’è?», hanno esclamato a piazza della Signoria. Per un anno non hanno nemmeno scartato il presente della suocera cinese, lasciandolo a prendere polvere nel deposito di uno spedizioniere di Prato.

Il problema è esploso quando i «gemelli» d’Oriente hanno deciso di ricambiare la visita e venire a vedere come erano stati posizionati i due colossi. L’annuncio ha scatenato il panico. Perché mammà ha il cordone della borsa: a Ningbo hanno aperto la sede tante aziende fiorentine, da Targetti a Linea Più. E la delegazione viene a onorare il gemellaggio, bere Chianti e assaggiare fiorentine, ma anche a trattare affari. L’assessore alla cultura Gozzini entra in giunta ostentando sicurezza: «Non siamo preoccupati».

E si cominciano a sfornare ipotesi: «Mettiamolo nel parco di San Donato». «No meglio, nella rotatoria di piazza Gaddi». L’associazione commercianti vede già ricchi introiti in yuan e preme: «Abbiamo un debito di riconoscenza, piazzatele in centro». Ma ogni ipotesi sbatte contro un secco no dei residenti. I presidenti di quartiere non hanno peli sulla lingua: «Sono brutte». E un altro: «Sono così alte che ostacolerebbero la visuale al traffico».

I giorni passano e la fiducia dell’assessore Gozzini comincia a sbiadire: «Almeno potremo mostrare alla delegazione che è in atto un processo sicuro per posizionare le statue». Il collega Gori tuona: «Non possiamo non accoglierle. Siamo la città di La Pira». Già, ma anche di Stenterello. E la vicenda ormai appartiene più alla commedia dell’arte che alla storia pacifista e internazionalista di Firenze. Il conto alla rovescia procede inesorabile, la notizia rimbalza all’estero, il quotidiano inglese The Guardian ci ride appresso e dalla Cina cominciano a sibilare minacce di incidente diplomatico. La speranza è appesa a un filo, il filo del paradosso. A salvare la giunta di centrosinistra potrebbe essere un prete, Don Momigli, il sacerdote della Chinatown fiorentina: «Datele a me, so io dove metterle». E ora poi, con tanta pubblicità (seppur negativa), qualche privato subodora l’affare. «Io mi sono fatto avanti quando nessuno le voleva», giura ad esempio Enzo Pazzagli, artista che a Firenze ha realizzato un parco aperto al pubblico con opere sue e di altri, il parco Pazzagli. «È pieno di verde e vicino all’Arno, è il luogo ideale. E mi offro di pagare io i piedistalli», dice l’artista. Il Comune prende atto e intanto vaglia, il parco Vogel, piena periferia. C’è poco da sottilizzare, quando mancano pochi giorni e ci sono da spostare due colossi di pietra.

Ma la toppa dell’ultim’ora basterà a far contenta la suocera danarosa?

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