Cetara e il mito della colatura

nostro inviato a Cetara
Quarantatré chilometri separano Cetara da Napoli e nove appena da Salerno alla cui provincia appartiene, una delle piccole perle della Costiera Amalfitana, subito dopo Vietri e subito prima di Maiori, uno di quei comuni che vanno a formare la grande Italia della qualità agroalimentare, meno di duemila e cinquecento abitanti e un prodotto che nello stesso tempo è antico e nuovo, ottimo e impossibile: la colatura di alici, potenzialmente comunissima e nella realtà una chicca.
La colatura altro non è se non il liquido di scarto delle acciughe messe sotto sale per la loro conservazione in vista dell’utilizzo invernale. In tanti angoli d’Italia, penso ad esempio a Levanto e alle Cinque Terre in Liguria, è uso comunissimo tenere le alici sotto salamoia, spesso con una pietra sopra per pressare bene tutto. Però solo a Cetara hanno pensato di recuperare il liquido che via via affiora, quasi che lì hanno conosciuto una povertà ancora più disperata di altre bande al punto da intuire che quell’umore non faceva affatto schifo, come quasi tutti oggi pensano del suo progenitore, il garum degli antichi Romani. Anzi, era perfetta per condire la pasta con un sapore di mare senza usare pesce e risparmiando sul sale.
Negli anni Sessanta si contavano venti pescherecci dediti alla pesca delle alici, oggi se ne sono salvati due appena che addirittura bastano per la massa attuale di pescato. Dai Settanta ha preso il sopravvento la pesca del tonno rosso, ben più pregiato. Ma la colatura è rimasta la bandiera del paese come il lardo per Colonnata in Toscana e il prosciutto affumicato per Sauris in Carnia. In fondo piaceva solo ai cetaresi che ne tramandavano ai figli il culto e i relativi segreti. Poi è successo che a inizio anni Novanta qualcuno ha cominciato a proporla al di fuori dei momenti canonici di dicembre, spunto per una sosta a Cetara, tra i suoi vicoli, la sua discesa a mare e il suo piccolo porto. Sarebbe seguito il presidio Slow Food, un sindaco particolarmente lungimirante e dinamico, Secondo Squizzato, e un disciplinare fatto loro da tre delle quattro aziende produttrici. E come di un pittore si dice che è famoso quando rubano i suoi quadri, così un prodotto si è affermato quando viene imitato, taroccato. In tal senso è stata individuata una simil-colatura a Cefalù in Sicilia. Non è poi difficile produrla per sfruttare la popolarità dell’originale.
A Cetara è un rito che si rinnova ogni fine inverno e inizio di primavera. Non c’è più l’abbondanza di pesca di un tempo, ma fa lo stesso. Le norme parlano di alici pescate nel golfo di Salerno, ma sono tollerate anche quelle di Napoli dall’altra parte della Penisola Sorrentina, poi c’è chi applica a se stesso maglie più larghe e abbraccia l’intero Tirreno, con i più “dritti” che ricorrono al mercato greco. Con questi ultimi siamo ormai lontani dalla famiglia che faceva tutto in casa. Le alici pulite, eviscerate, private della testa e messe sotto sale in un barilotto di rovere o di castagno chiamato terzigno così come il disco in legno appoggiato sull’ultimo strato è il tompagno. Un sasso raccolto in mare fa da peso. Senza non si avrebbe il regolare affiorare di un liquido che ovunque buttano via e che qui viene invece raccolto e messo al sole dell’estate perché si concentri. A cavallo di ottobre e novembre, finalmente fatto colare. Se all’inizio del suo ciclo saliva in superficie, al suo termine percorre il viaggio inverso: rimesso nel terzigno, ripassa gli strati di alici ormai mature e pronte per il consumo, fino a raccogliersi sul fondo. Quando si è depositato ben bene, si pratica un foro sul fondo e la colatura ha inizio.
Liquido ambrato, maschio e gagliardo, non facile da domare, ha una sua prima data di uso nobile e una seconda meno di tre settimane dopo. Chi scenderà nelle prossime settimane a Cetara lo potrà prenotare. Quello che ognuno custodiva per mesi, l’8 dicembre giorno dell’Immacolata diventava il nettare della festa del paese. Lo stesso alla vigilia di Natale, il 24. Una preparazione su tutte: spaghettoni o linguine rigorosamente bolliti in acqua non salata, scolati e conditi con tre parti di olio crudo e una di colatura, spicchi interi di aglio e prezzemolo. Poi c’è chi aggiunge pinoli e noci piuttosto che peperoncino e magari trita l’aglio perché a tavola sia mangiato.

Di certo non è un primo gentile, che asseconda i gusti famigeratamente leggeri di oggigiorno. La pasta con la colatura è un pugno, ma dato con gentilezza, è come se i ristoratori di Cetara volessero porgerti il vero volto del paese, non una sua versione edulcorata da cartolina. Ed è bene così.

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