Roma Non si può fare di più. Un po’ perché i conti non lo permettono, ma anche perché in questa situazione un taglio alla pressione fiscale rischia di non essere percepito da aziende e cittadini. A pensarla così è Giuseppe Vegas, viceministro all’Economia con un solido curriculum da nemico delle tasse. La Finanziaria «è il massimo che potevamo fare». E chi sostiene il contrario, ad esempio Guglielmo Epifani, «forse voleva che l’Italia si trovasse nella situazione della Grecia». Infondate anche la polemica sul Tfr. «È malposta. La norma era prevista dalla Finanziaria 2007, quindi dal governo Prodi. Serve a utilizzare le somme residuali del Tfr ed è a tutti gli effetti una partita di giro».
Però questa volta finanzierete spesa corrente.
«Non è vero che prima era destinata a investimenti, era destinata per lo più alla copertura del deficit delle ferrovie, quindi spesa corrente».
Ci sono rischi per le erogazioni dei Tfr ai pensionati?
«Nessuno. Viene utilizzata la parte che non serve a pagare chi va in pensione. Quei soldi sarebbero restati in cassa mentre così li utilizziamo per lo sviluppo».
La Cgil e il centrosinistra dicono che questa Finanziaria è di galleggiamento, non serve a fare sviluppo. È possibile che troppa attenzione alla tenuta dei conti finisca per soffocare l’economia?
«La tenuta dei conti è fondamentale. Ho visto le critiche di Epifani e mi chiedo se vuole che l’Italia si ritrovi nella situazione della Grecia. Sarà che ha una cultura classica».
E non si può fare nient’altro, ad esempio l’Irap, le imposte sulla famiglia?
«È ancora essenziale tenere la barra dei conti e questa Finanziaria consente di fare le spese essenziali. A tutti piacerebbe ridurre le tasse. La mia storia personale parla da sola, sono da sempre un sostenitore della riduzione delle tasse, ma so anche che si può realizzare solo quando ci sono le condizioni. La gestione di uno Stato non è tanto diversa da quella di una famiglia. Se diminuiscono le entrate non si possono aumentare le spese, a meno che non si voglia fare del debito che peserà in futuro, impedendo gli investimenti. La finanziaria non può essere l’elenco della spesa. I bisogni sono infiniti, ma la spesa pubblica è alta e le risorse limitate».
E le poche risorse non potrebbero essere indirizzate in modo diverso?
«In questo momento bisogna tenere fermi gli obiettivi di finanza pubblica, perché senza una situazione solida dei conti non si può che andare verso aumenti dei tassi e rischi di default. Chi tiene ai deboli deve essere il primo a chiedere il rigore nei conti e opporsi ad una politica di spese allegre».
I tagli alle tasse arriveranno con la ripresa?
«Quando arriverà la ripresa si sentiranno anche gli effetti della riduzione della spesa pubblica che abbiamo avviato negli anni scorsi e che quest’anno prosegue con il taglio ai costi della politica. Si aprirà sicuramente una nuova prospettiva di riduzione della pressione fiscale, ma attuare un taglio alle tasse in una fase di profonda incertezza non ha effetti aritmetici sullo sviluppo».
Cioè rischia di non essere percepito?
«Basta pensare che in Europa c’è stata in media una riduzione delle entrate fiscali del 6,5 per cento, in Francia del 20 per cento. In questa situazione non basta un miliardo di euro in sgravi per invertire la tendenza. È un pensiero pio quello di chi vorrebbe fare qualcosa di più incisivo in questo momento. La riduzione della pressione fiscale, quando ci sarà, dovrà essere di entità cospicua. Questa Finanziaria è il massimo possibile nelle condizioni in cui siamo. Mi sorprende l’opposizione. Chiedeva cose che abbiamo fatto e nemmeno adesso gli va bene».
C’è malumore anche perché è stato ridotto il potere del Parlamento nella sessione di bilancio. È giustificato?
«Ricordo che i parlamenti nacquero per limitare il potere dei sovrani che spendevano troppo. Ora c’è stata un’inversione a 180 gradi».
Sul piede di guerra anche i Comuni. State concentrando i tagli sulle autonomie?
«Loro volevano una revisione del Patto di stabilità interno. Nel corso del 2009 siamo passati da una riduzione di 1,6 miliardi ad un aumento della spesa di più di due miliardi. Tra il prima e il dopo c’era una differenza di 3,9 miliardi di euro in spesa aggiuntiva per gli enti locali. Una situazione eccezionale, ma a un certo punto bisognava tornare alla normalità.
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