La Cgil stronca «Videocracy»: una predica faziosa e confusa

RomaTra polemiche sui trailer non trasmessi e relative polemiche, nessuno si era accorto che Videocracy, in fondo, è un film. E che quindi, una volta smontati gli occhiali della politica, si può valutare con le lenti del critico. A dare la sveglia, a sorpresa, è stata la Cgil, o meglio l’organo di informazione del sindacato di sinistra: Rassegna sindacale e il suo blog dedicato al cinema intitolato con un evocativo (e molto bello): Cinepressa.
D’obbligo la premessa politica. Il film-documentario realizzato da Erik Gandini e presentato fuori concorso alla mostra di Venezia 2009 «vuole illustrare la situazione italiana ai suoi connazionali e all’estero. In questo senso, nella ricostruzione delle circostanze che hanno portato allo strapotere televisivo, il lavoro può dirsi riuscito». Pagato il tributo, arriva la bocciatura, inattesa e senza appello, anche perché viene da un’organizzazione che generalmente non fa sconti al governo e alla quale - lo si capisce dalla recensione - un documentario, fatto bene, contro Berlusconi non gli sarebbe dispiaciuto.
Intanto agli italiani, il film «non dice niente di nuovo». Ma è dal punto di vista stilistico - denuncia il blogger e giornalista Emanuele Di Nicola - che emergono i problemi di Videocracy. «È nella forma che proprio non convince: Gandini adotta un tono predicatorio, praticamente da subito, dilungandosi in facili provocazioni verbali (lo chiama «il presidente» senza mai nominare Berlusconi)». E sembra quasi di vedere l’ultima campagna elettorale del Pd, quella del «capo della coalizione a me avversa», che è finita male.
Poi ci sono «nodi sociologici accennati ma non sviluppati». Pollice verso anche per quanto riguarda la logica e la narrazione: «Si salta da una figura catodica all’altra, da Lele Mora a Fabrizio Corona, manca una visione strutturale di fondo. È un’accumulazione di fatti e situazioni. E in quanto tale risulta inevitabilmente altalenante: gira a vuoto quando stigmatizza (per l’ennesima volta) l’assenza di scrupoli degli squali televisivi, più stimolante se scandaglia la gente comune».
Potrebbe battere quel tasto e invece, «Gandini è fazioso e indignato: la situazione è desolante, a suo avviso, e l’approccio non cambia neanche se viene innaffiato da una certa dose di ironia».
Un’impostazione che il regista italo svedese condivide con tutti un genere che sembra mostrare la corda. Ad esempio lo statunitense Fahrenheit 9/11: «Rabbia che offusca la lucidità e annulla la precisione del colpo». Si legge Michael Moore, ma sembra di vedere in filigrana una bocciatura del grillismo in versione cinematografica, che già conta diversi titoli. Qualche momento del film-bandiera dei neogirotondini si salva. Una «inquieudine diffusa», la «colonna sonora martellante», certe scene di veline.

Sarebbe stato meglio lasciare scorrere le immagini, evocare senza troppi commenti. E invece la Videocracy italo svedese sembra un po’ didascalica. Sembra quasi voglia imporre un punto di vista. Parola del blog della Cgil.

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