In Champions per tornare Milan

Gruppo compatto, grande determinazione per rimediare agli errori in campionato. Contro lo Shakhtar rientra Kakà, davanti solo Gilardino

nostro inviato a Milanello

A misurare le parole, il Milan sembra pronto a rimettersi in piedi e riprendere la sua corsa preferita, in Champions League naturalmente. Già, le parole. Quelle spese da Ambrosini, vice di Maldini, e quelle utilizzate da Ancelotti, hanno lo stesso timbro. «Abbiamo una voglia feroce di rimediare agli errori in campionato», detta il centrocampista, utilizzato per mezz’ora anche da centravanti («non me lo auguro proprio di ripetere l’esperimento») domenica pomeriggio a San Siro. «Non cambierò l’identità tattica della squadra», la promessa solenne dell’allenatore intervenuto per tenere al coperto da ingenerose censure Inzaghi e Gilardino, «non è giusto scaricare su di loro ogni responsabilità». Di questi tempi il mestiere del goleador, nel Milan, sembra diventato particolarmente usurante. «Quello di Atene non è stato un miracolo né un motivo di appagamento» l’altra convinzione di Ambrosini appesa al muro di Milanello, come un bel chiodo appuntito. L’orgoglio dell’armata è una delle poche risorse a disposizione. «Dobbiamo essere, sul campo, più ordinati e compatti», la raccomandazione dell’allenatore che si sposa con le parole non dette, ma sottintese, in queste ore di ricerca febbrile delle difficoltà strutturali in casa Milan. Che si specchiano alla perfezione nell’analisi scolpita da Arrigo Sacchi. «I rossoneri sono troppo appagati, senza gioia di giocare, senza voglia di fare, sono lenti e impacciati e con poco orgoglio. Hanno un grande allenatore e uno staff competente ma sono come una Ferrari senza benzina: il carburante in questi casi è composto dalle motivazioni», la lucida analisi di uno che conosce bene l’ambiente.
Queste le parole. Che non bastano a far cambiare l’inerzia degli avvenimenti. Meglio allora fissare i confini della realtà che muovono dalla geografia del girone (ucraini a punteggio pieno dopo due turni, rossoneri in ritardo) e si congiungono con le caratteristiche dello Shakhtar Donetsk, «squadra di stampo brasiliano, con grande qualità, guidata dall’esperto Lucescu». Dentro questo ristretto corridoio deve passare il Milan per provare a rimediare allo scivolone di Glasogw e risollevare i numeri del gironcino. Perciò è il caso di fare i conti con i fatti, le scelte da realizzare, qualche recupero forzato da tentare. C’è Kalac, al posto di Dida, presentato da Ancelotti come un tipo estroverso e già intervenuto l’anno prima a sbrigare alcune pratiche di coppa Campioni con sufficiente sicurezza, e fin qui siamo a una presenza scontata. «Non avrà problemi», garantisce l’allenatore. Chissà se è sicurezza esibita oppure no. L’australiano è esperto di coccodrilli, la speranza è che lo sia anche dinanzi a Lucarelli: contro il Catania, in campionato, non incantò. Scontato l’utilizzo di Favalli per coprire il buco aperto a sinistra dall’infortunio a Jankulovski. Il convento non passa altro.
Il resto, ed eccoci alla sostanza, è affidato a Kakà, rimasto fermo fino a ieri pomeriggio per un colpo al ginocchio subito con la nazionale brasiliana. È il primo allenamento dopo quattro giorni di sosta ai box. «Un grosso interrogativo», riconosce Ancelotti.

Kakà, alla fine, non si tirerà indietro, ma è altrettanto sicuro che la sua resa non sarà certo quella dei giorni più allegri. Per restituire in qualche modo al Milan un briciolo di affidabilità, viene riesumato il modulo a una punta (Gilardino, con Inzaghi in panchina), il solito talismano a cui fare ricorso. Può bastare?

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