Proviamo a rimettere in sesto la scuola incominciando dalla severità degli insegnanti in classe? Condizione necessaria, ma non sufficiente. Tuttavia una scelta di relazione - quella della severità - importante per stabilire il giusto equilibrio tra professori, studenti, famiglie.
Consideriamo due esempi estremi: il bullismo e la scelta di istituti all’estero per l’istruzione dei figli da parte di genitori facoltosi. Per un verso o per un altro i due casi sono impietose testimonianze della bancarotta della scuola pubblica, ed entrambi i casi hanno - tra le altre - radici comuni nell’assenza di severità nella classe.
Incominciamo dai bulletti. Genitori assenti: credono di conoscere come le proprie tasche i figli e invece non sanno nulla di loro. Da parte sua, l’insegnante dimostra di essere incapace di mantenere la disciplina, che tuttavia non può non avere il suo fondamento nell’educazione dei genitori. Risultato inevitabile: famiglie latitanti più insegnanti sprovveduti e abbandonati a se stessi uguale degrado educativo e formativo di cui il bullismo è solo la manifestazione più eclatante.
Secondo esempio. La disciplina in classe è una regola non solo di comportamento, ma di apprendimento che protegge i più deboli, sia dal punto di vista economico che caratteriale. Se l’insegnante tiene la disciplina è anche in grado di capire quanto abbiano studiato i suoi alunni, li può valutare in modo appropriato ed egli stesso è nelle condizioni di fare delle lezioni decenti.
La confusione in classe favorisce il mimetismo dei furbi perché non possono essere controllati, interrogati e valutati come si deve. Il ragazzo bravo e quello asino finiscono per confondersi: il primo non riesce ad esprimere le sue qualità, il secondo trova mille scappatoie per andare avanti pur essendo un emerito ignorante. Risultato: il genitore che ha vera attenzione per il proprio figlio generalmente lo toglie dalla scuola pubblica, sceglie quella privata dove c’è più ordine e disciplina, e soprattutto può protestare - poiché paga e profumatamente - se in classe c’è babilonia. Essendo poi gli insegnanti quelli che passa il convento, cioè il più delle volte purtroppo modesti, la famiglia benestante sceglie un istituto estero.
Così il ragazzo bravo e di normali condizioni economiche viene danneggiato due volte: la prima perché la scuola non gli insegna come dovrebbe, e comunque, nonostante la volontà del ragazzo, non gli vengono riconosciute le sue qualità. La seconda perché sul piano del mercato del lavoro le sue competenze risulteranno inferiori a quelle del giovane che ha studiato in istituti dove gli insegnanti potevano, attraverso la disciplina, fare bene il proprio lavoro.
Dunque, tutti d’accordo: difficile non convenire sul valore formativo ed educativo che ha alla base la disciplina. Certo, obiezioni arriveranno dai nostalgici dei metodi alla Montessori, ma sono obiezioni che, proprio oggi, vengono facilmente confutate.
Finora queste considerazioni hanno riguardato l’aspetto formale della necessità di disciplina a scuola. Ma c’è anche una disciplina sostanziale, non solo formale. E qui casca l’asino. Chi può farsi rispettare tenendo la disciplina? Risposta: chi ha autorevolezza. E come può il docente manifestare la propria autorevolezza? Risposta: attraverso il suo sapere e la sua capacità didattica.
Noi purtroppo abbiamo docenti che sono vere capre e altri, non molti, bravi. Se qualcuno ha un po’ di esperienza della scuola, sa che il docente bravo è in grado di tenere la disciplina perché gli viene riconosciuta dagli studenti l’autorevolezza del suo ruolo. Malauguratamente nella stessa scuola ci sono molte capre e pochi bravi docenti. E questo accade perché non si è in grado di selezionarli, perché gli stipendi troppo bassi ne fanno un mestiere dequalificato, perché gli studenti di talento non si iscrivono più alle facoltà di lettere da cui provengono i futuri insegnanti.
Quarant’anni di sindacalismo sfrenato che ha puntato alla massificazione dell’insegnante (stipendi bassi, lavoro possibilmente per tutti, meritocrazia zero) ci hanno consegnato questa scuola, che le famiglie attente all’educazione dei propri figli considerano un pericolo.
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