Che brutta botta per il ceto medio!

Dai tempi della Dc non è cambiato nulla: ancora una volta saranno i cittadini con redditi normali a salavre il Paese. Mentre i nababbi la fanno franca...

Che brutta botta  
per il ceto medio!

E va bene, non c’è problema, verseremo ancora, però fateci il santo piacere di non raccontare in giro che «stavolta pagano i ricchi». Siamo veramente stanchi, noi del ceto medio, di essere equiparati ai megaevasori parcheggiati a Portofino, ai faccendieri d’assalto che imboscano fondi in Svizzera, a certa imprenditoria pidocchia che incassa cento e fattura venti. Sia chiaro una volta per tutte: noi, con questa Italia riccastra e furbona, non c’entriamo nulla. Noi stiamo bene, non ci lamentiamo, abbiamo quanto ci serve: però niente di più, niente di nascosto. Quello che abbiamo esce unicamente dal nostro lavoro. E comunque, siccome siamo quasi tutti dipendenti, paghiamo le tasse prima ancora che il padrone paghi noi, con un prelievo all’origine che cancella automaticamnete qualunque tentazione.
Prima di continuare chiedo sinceramente scusa ai giovani padri di famiglia che mandano avanti la casa con 1500 euro al mese, nonché agli anziani pensionati che tirano a campare con 700. È chiaro: nei loro confronti, noi del ceto medio abbiamo il dovere etico e civile di mettere mano al portafoglio. Allora, esprimiamoci così: la nostra tassa di solidarietà vuole essere solidale proprio con loro. Ma solo con loro. A tutti gli altri, sindacalisti e cervelloni ministeriali, che considerano novantamila euro lordi all’anno l’inizio della vera ricchezza, vada invece il nostro più sentito risentimento. Almeno, abbiano il buon gusto di non spacciare questo prelievo forzoso per mossa geniale e innovativa, come se finalmente in Italia facesse trionfalmente ingresso l’equità sociale. Si mettano tranquilli, non è così. Questo film non è geniale, tanto meno originale, perché noi di questi ceti l’abbiamo già visto a tutte le età, in tutte le generazioni, con tutte le maggioranze politiche. Parliamo tanto della grigia repubblica democristiana, che con il ceto medio flirtava per scucirgli voti, ma che quando non sapeva più da quale parte girarsi si girava puntualmente proprio lì, da quella parte, dove i fedeli elettori erano facili bancomat per prelievi sicuri.
Noi si pensava che con il trascorrere delle epoche qualcosa potesse cambiare, ma ci ritroviamo mestamente allo stesso punto. L’Italia ha l’acqua alla gola, servono soldi veloci e sicuri: dove andarli a trovare più facilmente che qui, in questa fascia sociale fiscalmente così nitida?
Il ceto medio ha un singolare destino: è considerato ricco dai poveri veri, è considerato pezzente dai ricchi veri. Sostanzialmente è disprezzato da tutti. Eppure, in caso di necessità, viene buono per tutto. Con la fantasia che si ritrovano i pool schierati sulle manovre straordinarie, non c’è molto da sperare. Sentendoli parlare si potrebbe persino immaginare chissà quali tocchi d’artista, chissà quali colpi di tacco, poi escono dai loro «brain-storming» e puntualmente annunciano la mossa strategica: contributo di solidarietà a partire dai più ricchi. E come no. Novantamila euro lordi, al netto di tutti i prelievi, diventano 45mila, meno di 4mila euro al mese. Niente da dire, un signor stipendio, e chi si lamenta. È lo stipendio che a una famiglia con due o tre figli permette una vita decorosa, con un mutuo, gli studi dei ragazzi, una buona berlina, due settimane in Riviera, qualche spicciolo da investire in Bot. Una vita ottima, certo che sì: quella che si meriterebbero anche i nostri giovani al primo impiego e i nostri nonni prima di andarsene.
Però non è giusto considerarci ricchi, con quel che segue: case di lusso, Ferrari, conti all’estero, vita notturna, Sankt Moritz e Maldive, yacht in rada e una mezza dozzina di fidanzate in giro per il mondo. Noi siamo di un’altra pasta, di un’altra idea. Difatti, anche questa volta pagheremo. Non è una tragedia. Se l’Italia ha bisogno di noi, noi ci siamo. A questa Italia restiamo morbosamente affezionati: la teniamo in piedi tutti i giorni, facendo il nostro lavoro al massimo delle nostre possibilità, cercando di sbagliare il meno possibile, guadagnando il giusto.

Sappiamo che se sta bene l’Italia stiamo bene anche noi. Se vogliono farci sentire in colpa per tutto questo, facciano pure. Ma guai a loro se la chiamano tassa sui ricchi. La chiamino con il suo vero nome: tassa sui soliti.

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