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Che fesseria la prova video sulla bestemmia

La mannaia della giustizia sportiva si è infine abbattuta per la prima volta sui turpi bestemmiatori della domenica calcistica. Invocata dal presidente del Coni Gianni Petrucci e subito fatta propria dalla Federcalcio, la sanzione a chi nomina invano è scattata puntuale al suo primo weekend di applicazione grazie alle orecchie di un collaboratore della Procura federale che al 3’ del secondo tempo hanno recepito l’imprecazione blasfema dell’allenatore del Chievo Domenico Di Carlo. Squalifica automatica di una giornata per lui e per altri tre maleducati: Lanzafame (Parma) e i giocatori della Serie B Scurto (Triestina) e Sicignano (Frosinone). Se l’è invece cavata Michele Marcolini (anche lui del Chievo). La prova tv ha lasciato l’«incertezza interpretativa» sulla reazione alla propria espulsione nella partita con il Cagliari («diverso movimento delle labbra nella pronuncia della vocale aperta “A” rispetto alla vocale “O”»). Per il giudice sportivo si è trattato di un offensivo riferimento a Diaz e non a Dio. Quindi non sanzionabile, con buona pace del «Duca della Vittoria».
«Grottesco proscioglimento» hanno chiosato alcuni. Di grottesca, e anche un po’ umoristica, c’è la pomposa motivazione assolutoria: «Proferiva apparentemente un’espressione gergale, in uso nel Triveneto e in Lombardia...». Indugenza regionalista.
Ma un problema c’è. Se è l’arbitro a sentire direttamente un giocatore bestemmiare, bene fa a punirlo con la sanzione del cartellino rosso diretto e rispettiva squalifica. Va accettato anche il rapporto dei collaboratori della procura federale. Ma se bisogna affidarsi a quella che la Lega definisce una prova «di piena garanzia tecnica e documentale», cioè quella offerta dalla tv, i dubbi sono inevitabili. Innanzitutto sulla parità di trattamento. Se infatti smorfie, atteggiamenti, movenze dei giocatori di Serie A sono vivisezionati dalle telecamere, lo stesso non vale sui campi di altre categorie dove, assente la prova tv, ci si lascia andare con maggior libertà.
Seconda questione: la delega al regista televisivo di riprendere o meno il labiale di un calciatore. È facile che ciò avvenga al termine di un’azione, ma se l’attenzione dei cameramen viene attratta da altri episodi? Una rissa che si accende da un’altra parte del campo, un gesto meritevole di maggiore attenzione e così via, come può dare ai giudici la possibilità di accertare al di là di ogni ragionevole dubbio che il giocatore tal dei tali ha offeso per istinto o per rabbia Dio, Diaz, Zio o Dighel (variante brianzola)? Un po’ come accaduto al Grande Fratello: tre a bestemmiare ma soltanto uno beccato e cacciato.
Insomma, mai fidarsi della prova tv.

È più arbitraria dello stesso arbitro.

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