Che flop l’Ue: sul batterio solo falsi allarmi

Ieri mattina nei supermercati i germogli di soia erano piazzati in bella vista ma tutti invenduti. Precauzione ovvia visto che domenica la Germania aveva lanciato il secondo allerta comunitario, per mettere al bando l’ortaggio preferito dai vegetariani. Invece anche la soia non c’entra. È stata assolta così come era già successo per il cetriolo. I test di laboratorio su 23 dei 40 campioni sequestrati nell’azienda del villaggio di Bienenbuettel hanno escluso che sia la soia responsabile del batterio killer. Così il mistero dell’epidemia causato dal ceppo cattivo dell’E.coli ritorna fitto. Si ricomincia tutto daccapo. Fino all’ennesima allerta. Già, perché i tedeschi ormai riescono a terrorizzare la comunità internazionale un giorno si e uno no. Creando panico, diffidenza e grandi perdite economiche.
Solo in Italia si stimano 100 milioni di danni per la merce invenduta. Non parliamo della Spagna che ce l’ha a morte con la leggerezza con cui i tedeschi puntano il dito su un prodotto piuttosto che un altro senza prima fare i riscontri necessari. Ieri a Lussemburgo il ministro spagnolo per la Salute Leire Pajin ha detto con forza, che il sistema europeo di allerta rapida per le contaminazioni alimentari deve venire attivato solo quando c’è la certezza che il prodotto in questione sia la causa effettiva del contagio. E ha chiesto una revisione del meccanismo. Ci sono pure critiche interne. L’opposizione tedesca attacca il governo per la gestione della crisi e la sua politica di informazione decentrata. E l’Unione consumatori ritiene «poco felice» che l’annuncio sui germogli di soia sia giunto da un ministero regionale della Bassa Sassonia e non dall’Istituto Koch, centro epidemiologico nazionale.
Anche l’esperto italiano Alfredo Caprioli, dell’istituto superiore di Sanità ritiene che la Germania «usi l’allerta in modo poco razionale» perché va data quando c’è un pericolo che riguarda gli altri paesi. «È da un mese che questo batterio circola solo in una determinata zona della Germania – spiega Caprioli – e quindi si deve avvertire la popolazione locale ma non l’intera Europa». Altra pecca, in fatto di indagini. «Bisogna analizzare anche i confezionamenti – sottolinea l’esperto - Se la verdura viene messa in cassette contaminate e non ripulite il batterio circola e loro non lo troveranno mai se continuano a analizzare solo i singoli prodotti». Anche Fazio la pensa allo stesso modo e ieri a Bruxelles ha chiesto con forza di «concentrare gli sforzi su controlli sanitari a tappeto su tutta l’area dei Laender della Germania settentrionale in cui si è sviluppata l’infezione». I singoli ortaggi, secondo il ministro potrebbero essere solo un vettore, ma non la causa dell’infezione, che sarebbe determinata da circostanze e condizioni ambientali: la contaminazione per contatto con acqua o feci o carni infette, ma anche il trasporto, il confezionamento o qualunque altra fase del percorso fino all’arrivo del prodotto al consumatore finale. Fazio ha chiesto inoltre che siano rafforzati i controlli sanitari sui prodotti biologici, che «spesso si basano su autocertificazioni e godono di deroghe e facilitazioni non previste per gli alimenti tradizionali». Suggerimenti saggi ma che non sembrano convincere il ministero dell’Agricoltura tedesco. Nonostante l’esito negativo dei test ha deciso di mantenere l’allerta sui germogli di soia, cetrioli, pomodori, lattuga. Insomma dice a tutta la popolazione di non mangiare questi prodotti. Compresi quelli importati dall’estero (vedi Italia). Un danno per tutto il comparto. Secondo la Coldiretti, potrebbe sfiorare i cento milioni di euro il conto finale delle perdite subite dal made in Italy alimentare.

E oggi se ne parlerà nel Consiglio straordinario dei ministri dell’Agricoltura dell’Ue, in cui la Commissione europea proporrà indennizzi agli agricoltori. Dal fronte sanitario, invece, la Polonia segnala il primo contagio di una donna residente nella regione di Amburgo. I decessi sono 23 e le infezioni da sindrome emolitica hanno superati i 2.300 casi.

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