nostro inviato a LAquila
Pochi minuti prima di mezzanotte, mentre il termometro scende poco sopra lo zero e il caldo innaturale del giorno è solo un ricordo, Salvatore accende il motore della sua vecchia Alfa 166 piena della polvere di qualche casa venuta giù. Non deve andare da nessuna parte, solo far funzionare il riscaldamento e rendere meno dura la notte da sfollato. Vicino a lui, nel parcheggio dietro alla caserma dei carabinieri di via del Beato Cesidio, molti altri fanno lo stesso, rendendo l'aria irrespirabile come sulla Salerno-Reggio Calabria d'agosto. Ma a chi importa? Salvatore e tutti gli altri hanno fatto qualche ora prima lunghe file ai pochi distributori di benzina in funzione all'Aquila per fare il pieno al serbatoio e non dover fare a meno anche di quel poco tepore dopo aver già rinunciato al tetto di casa, alla banale normalità di una doccia e di Fiorello alla tv, a qualsiasi forma di privacy, a ogni idea del futuro.
Salvatore è con il papà. Federico pure, sulla Daewoo Matiz piena di coperte e buste. Suo fratello Alessandro poco distante su una Marea. La madre in un'altra auto in questo buio condominio di lamiera che molti hanno preferito alle tende offerte dalla protezione civile. Per molti invece è stata una scelta obbligata. Luigi, un signore con i baffi e con una coperta sulle spalle si lamenta: «Ho chiesto una tenda, mi hanno detto che venivano prima i bimbi e gli anziani. È giusto, ma so che solo all'Aquila succede questo, nei paesi vicini tutti sono stati sistemati sotto le tende». Così nel campo allestito nell'impianto sportivo Centi Colella, nelle poche tende montate sopra l'erba fradicia di pioggia, dormono poche centinaia di persone. Anziani, donne con bambini piccoli che piangono e tossiscono in continuazione. In una tenda blu riposano in nove su brandine militari, una donna molto vecchia immobile seduta su una sedia di plastica. «Non ce la fa a sdraiarsi là - dice Domenica, una professoressa che fa da nume tutelare a un gruppo di condomini di un palazzo vicino a piazza Italia -. Fa freddo, piove, non abbiamo coperte. Che brutta notte».
Già, che brutta notte. Fuori da lì alla periferia dell'Aquila ogni spiazzo, ogni parcheggio brulica di auto dove qualcuno dorme, molti chiacchierano, fumandosi la paura appena trascorsa. Quanti saranno i forzati dell'abitacolo? Diciamo ventimila. Al parcheggio di piazza d'Armi all'una e mezza lo scrollone del sisma sveglia tutti, si esce dall'auto e si sta lì, a non saper che fare. «Stanotte va così - dice Roberto sulla Toyota Corolla - ma domani forse andremo a Perugia da mia sorella. Non tanto per noi, ma per i nostri figli di 8 e 13 anni che indossano ancora il pigiama di quando siamo fuggiti per il terremoto grosso». «Ve lo avevo detto, iemmocene via - dice una ragazza ai genitori - portemo anche nonna, la carichiamo con la bombola e via a San Gregorio». In qualche modo la notte passa e arriva il giorno. Le cucine da campo della struttura attrezzata ricominciano a funzionare, gente silenziosa arriva dalle tende e dalle auto e si mette in fila per avere quel poco che c'è: latte, tè, fette biscottate, tante banane. Poco lontano si raccolgono le firme per avere un posto sui pullman che vanno sulla costa agli alberghi messi a disposizione su richiesta del governo, qualcuno fa fatica anche a trovare un foglio e la penna dove scrivere i nomi in fila. Chi non vuole lasciare l'Aquila si mette in lista d'attesa per una tenda, ne stanno arrivando tante, tutte da montare.
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