Ogni tanto, studiando la storia, ci viene la voglia ingenua e irresistibile d'avere qualche cosa da toccare. Stringer la mano a Napoleone e vedergliela tirar fuori da sotto il panciotto militare. Essere proprio lì, pigiati con i manifestanti pieni di cartelli «A morte i coglioni!» e vedere arrivare De Gaulle e sentirlo rispondere pensoso: «Vasto programma». Spiare da dietro una colonna Michelangelo che tira un attrezzo di lavoro alla sua statua del Mosé, cui sembra mancar solo la parola, e le grida «Perché non parli?», vederlo uscire irato ed andare furtivamente a raccogliere il suo martello. Insomma, sentire fisicamente compiersi il vero, che sarà mito e storia.
Aver davanti, a portata di braccio, Toscanini mentre dirige Verdi. Quest'evento che chi almeno una volta ha vissuto di presenza racconta con l'orgoglio e la gioia di poter dire «io c'ero». Bene. Ad un pelo dal toccarli fisicamente, Verdi e Toscanini, due straordinari eroi della storia dell'opera e del mondo, potete probabilmente arrivare anche voi in questo disco, il terzo dei nostri quattro. Se vi mettete calmi e fantasiosi, e cominciate ad ascoltare il solco 5, la sinfonia dalla Forza del destino, qualcosa come una celebrazione sacra o come una vittoria alle Olimpiadi, vi prende, vi fa vibrare dentro.
Quegli squilli terrificanti e vuoti degli ottoni all'unisono, la stessa nota tre volte ripetuta, che sentite due volte prima ancora d'essere entrati nell'idea dell'ascolto. E poi il tema del destino, come un vento, e poi di nuovo tutto che si blocca. Che infallibilità. Via con gli strumentini, come in un cauto cammino, increspato dal soffio del vento che ritorna. Fino a quando più piano del pianissimo si leva una preghiera, che sviluppa e cresce nella vostra mente, indimenticabilmente. Verdi lo sa, Toscanini altrettanto: mentre si svolgono slanci e tumulti ed interrogativi e pause nella sinfonia che procede, inconsciamente voi lo aspettate. E difatti tutto s'accende, ed incalza, e s'inquieta, finché, ecco, improvviso e necessario, ora lancinante e fatale, esplode il vostro grande tema della preghiera. Poi tutto rotola e s'impenna violento sino alla fine.
È uno dei sette brani del nostro disco. Il più curioso è il sesto, la Sinfonia di Aida che non sentiamo mai in teatro. Verdi la compose per la «prima» milanese del 1872, cioè la prima europea dopo le recite al Cairo. Era molto più lunga e molto più ambiziosamente drammatica della stupenda evocazione misteriosa che conosciamo. Verdi non ne era sicurissimo. La provò a porte chiuse, alla Scala, poi fece tutto lui: si mise a parlarne malissimo e la cancellò. Per molti anni passò inosservato che Toscanini, entrato in possesso dell'autografo, la ripropose a New York in studio nel 1940: è l'esecuzione qui raccolta, ed è non solo un documento utile per studiare Aida ed il suo mondo, ma anche un brano di grande effetto nelle contrapposizioni quasi battagliere, governato da una mano maestra.
Quattro sinfonie di Rossini, tutte fatte suonare con l'ampiezza del suono e del fraseggio tipiche di quel modo di interpretare alla grande, precedono le pagine verdiane. Le segue un'ouverture dal Flauto Magico di Mozart, prima indugiata nella pienezza della favola sacra e poi lanciata a capofitto, irresistibilmente.
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