«Dare un senso alla Russia è impossibile, è qualcosa che non può essere ridotto alla ragione. È un posto in cui semplicemente devi credere». Così il poeta Tjutcev che ben descrive una nazione difficile da governare e da domare. Una nazione dove le tradizioni e le superstizioni sono da sempre superiori a ogni regime. Un luogo dove l’uomo civilizzato può trasformarsi in animale, se lo richiede la situazione in cui vive. La Gran Madre Russia da tempo ha mostrato la sua metà oscura ai voraci lettori di mezzo mondo grazie a una serie di thriller che ne hanno riraccontato in maniera lucida e spietata passato e presente, ipotizzandone talvolta un allucinato futuro.
Singolare un romanzo come il celebratissimo Bambino 44 (Sperling & Kupfer) di Tom Rob Smith, destinato a diventare un film di Ridley Scott. Siamo nel febbraio 1953. Un’epoca in cui, come sottolinea l’autore, «a ogni scolaro si insegnava che l’omicidio, il furto e lo stupro erano sintomi di una società capitalistica, e il ruolo della milizia era valutato di conseguenza: non c’era necessità di rubare e non c’era violenza tra i cittadini perché vigeva l’uguaglianza...». Il regime comunista non poteva ammettere l’esistenza di alcun tipo di crimine che avrebbe significato l’ammissione della corruzione morale dei costumi e la sconfitta del sistema vigente: per questo nessun delitto, almeno all’apparenza, poteva avvenire.
Eppure Leo Stepanovic Demidov, membro dell’MGB, il Ministero della Sicurezza di Stato (l’organo investigativo che precedette la nascita del famigerato KGB) ed ex eroe di guerra si troverà a fronteggiare gli orribili delitti di un serial killer (che rimandano a quelli che, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Novanta, compì Andrei Chikatilo, il mostro di Rostov), fra le nevi che il regime vorrebbe immacolate. Leo recita a memoria gli slogan del sistema, ha imparato ad applicarli. Sa come interrogare i prigionieri, come snidare i fuggitivi. Il sistema gli ha insegnato a trovare sempre il colpevole giusto al momento giusto. E il mondo gli crollerà addosso quando si troverà costretto a denunciare sua moglie e poi verrà esiliato con lei, spiato, coscritto tra le forze della milizia (il malnutrito e disordinato organismo di polizia che operava nelle più lontane province della Russia).
Bambino 44 è un libro soffocante e gelido che mescola a un’avvincente trama una raggelante ricostruzione del periodo staliniano. Smith ha avuto la possibilità di leggere i diari dei prigionieri dei gulag e delle prigioni di Stato, ha fatto tesoro delle trascrizioni degli interrogatori di polizia dell’epoca oggi finalmente consultabili dopo essere stati seppelliti per anni fra gli immensi archivi del Kremlino. I rimandi a opere come Arcipelago Gulag di Aleksandr Solženicyn, ma anche a 1984 di George Orwell, sono espliciti in questo romanzo che ricorda anche la fortunata tradizione delle opere di un maestro americano come Martin Cruz Smith, il primo che nel 1981, con Gorky Park, aprì le porte del thriller sulla Russia.
Ed è proprio Cruz Smith a ritornare sul luogo del delitto a Mosca con il suo ispettore Arkady Renko nel recente Il fantasma di Stalin (Mondadori), che ci descrive che cosa potrebbe accadere oggi se si diffondesse la voce che Stalin è ancora vivo e quali interessi potrebbe scatenare l’ipotesi di un ritorno al vecchio regime comunista. In questa storia Renko dovrà vedersela con criminali di guerra, terroristi ceceni, berretti neri, politici in ascesa, ex poliziotti reduci dal raid di Beslan, ma soprattutto con uno spettro terribile: quello di suo padre, generale di corpo d’armata e braccio destro proprio di Stalin. Cruz Smith riesce a rinnovare la formula da lui trovata per un fenomenale best seller come Gorky Park e proseguita con successo con Stella Polare, Havana, Red Square e Lupo mangia cane, che gli hanno permesso di far viaggiare Renko dal Mare di Bering alle spiaggie di Cuba, dalla Piazza Rossa di Mosca ai boschi contaminati intorno a Chernobyl vivendo in prima persona il comunismo, il suo crollo e l’avvento di una nuova era capitalistica russa.
E proprio fra i nuovi ricchi, quelli che vivono fra gli sfarzi della Rublëvka, la Beverly Hills moscovita, ci guida la scrittrice russa Oksana Robski con il suo Nessun rimorso (Mondadori). Una storia che ci racconta in prima persona la vendetta di una donna che il marito fedifrago ha abituato al lusso e che passa le giornate fra un megacentro commerciale, assordanti locali notturni e cliniche del benessere. Una donna senza nome che sembra risvegliarsi dal torpore della banalità e della noia solo il giorno in cui il suo Serge viene freddato nella sua auto. Sarebbe piaciuto a lei ucciderlo con le proprie mani e forse proprio perché in qualche modo si sente defraudata darà la caccia agli assassini facendo ricorso a uno spietato killer. La polizia non può nulla in un territorio dove ormai da tempo è la mafia a dettar legge, come ci racconta Oksana Robski che attualmente dirige una catena di negozi di arredamenti ma che per anni ha gestito un’agenzia femminile di bodyguard, mestiere richiestissimo in un territorio dove uomini e donne sono abituati a essere rapinati quotidianamente da tagiki armati di coltelli, asce e pistole davanti ai grandi negozi di casalinghi di Mnevniki.
Il sistema della nuova criminalità russa viene descritto nel dettaglio in Bloody Vodka di Boris Starling (numero 2957 de «Il Giallo Mondadori»). Per il possesso della distilleria Ottobre Rosso si danno guerra il capomafia vor Lev e il ceceno Karkadann in una spietata odissea che racconta i giorni delle dimissioni di Mikhail Gorbachev, l’apparente democratizzazione dell’URSS e la capacità di insediamento del sistema criminale all’interno del nuovo assetto governativo. Starling illustra come hanno vissuto le famiglie criminali negli anni del regime, sopravvivendo alle decimazioni, agli internamenti nei gulag e come siano riuscite a far resistere il proprio codice sposandolo alla nuova società russa. E quando Borzov, presidente della Federazione Russa, e il suo primo ministro Arkin decideranno di far intervenire Alice Liddell, consulente del Fondo Monetario Internazionale per privatizzare la più grande ditta produttrice di vodka del Paese, lo scontro avrà inizio senza preclusione di colpi.
I lettori di Blody Vodka assistono da un lato a una sorta di guerra civile (legata alle proteste del popolo nei confronti della democratizzazione del Paese), dall’altro alla guerriglia fra i due mafiosi, mentre l’agente di polizia Juku Irk cerca di dare un volto al serial killer che sta falcidiando gli orfani ai quali la Ottobre Rosso ha dato da tempo un tetto. Irk, di origini estoni, è un uomo disperato, che deve difendersi sia dai suoi spietati colleghi militari, sia dalla faida fra ceceni e vor.
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