La prima che rischia di svoltare a sinistra

L’Unione Europea sta vivendo una condizione unica, che ha molto contribuito a consentire, sia pure a fatica e non senza frizioni, l’adozione dei provvedimenti anticrisi: tutti i Paesi che contano, dalla Germania alla Francia, dalla Gran Bretagna alla Spagna, dall’Italia (nessuno, credo, considera il governo Monti di sinistra) alla Polonia, dall’Olanda alla Svezia, hanno governi di centro-destra, con idee e obbiettivi abbastanza omogenei in economia. Nel momento in cui serviva il massimo di coesione, è cioè venuta a crearsi al vertice una sintonia ideologica che ha supplito, almeno parzialmente, alla mancanza delle istituzioni necessarie a governare la moneta unica.

La brutta notizia è che, mentre l’emergenza prosegue e minaccia di trascinarsi ancora per molto tempo, questa condizione favorevole potrebbe cessare tra appena due mesi, dopo le imminenti elezioni presidenziali in Francia, che vedono favorito il candidato socialista Hollande. Il pericolo è talmente sentito nell’Unione, che la signora Merkel, che pure ha avuto più di un contrasto con Sarko, si è addirittura offerta di venire a fare campagna per lui e quasi tutti gli altri leader europei gli hanno offerto il proprio sostegno. Purtroppo, molti francesi considerano queste prese di posizione addirittura controproducenti, perché hanno dato l’impressione all’elettorato più nazionalista ed euroscettico che il loro presidente sia prigioniero di interessi stranieri.

La principale ragione per cui i governi europei hanno tanta paura di Hollande è che il suo programma prevede la rinegoziazione (naturalmente a favore della Francia) del patto di stabilità fiscale fortemente voluto dalla Germania e dai suoi alleati, firmato da 25 dei 27 Paesi dell’Unione appena due settimane fa, ma ancora in attesa di ratifica per entrare formalmente in vigore. Ma è tutto il suo approccio, statalista e demagogico, al problema del pareggio di bilancio e del governo della moneta unica a spaventare i suoi colleghi, che lo considerano una specie di alieno. Per la sinistra italiana, invece, rappresenta la grande speranza, l’uomo che potrebbe rompere gli attuali equilibri e aprire la strada a loro nel 2013. Non per nulla Bersani e D’Alema hanno partecipato a un convegno dei socialisti europei a Parigi per sostenere il candidato del PSF e rilasciato alla TV dichiarazioni entusiaste.

Nulla è ancora scontato. Indietro nei sondaggi da diversi mesi, il presidente Sarkozy sta tentando la rimonta e la scorsa settimana ha ottenuto un primo risultato, sorpassando il rivale al primo turno in almeno una delle tante indagini demoscopiche. Egli ha adottato una politica spregiudicata, ma che è probabilmente l’unica in grado di salvarlo: spostarsi a destra in questa prima fase della campagna, per cercare di sottrarre al primo turno il maggior numero di voti possibile al Fronte Nazionale di Marine Le Pen (dato attualmente al 16%), per virare poi al centro a caccia degli elettori indipendenti e moderati quando si troverà a fronteggiare il solo Hollande nel ballottaggio. Sarà in questa fase che il presidente dovrà fare capire ai suoi concittadini - anche quelli più diffidenti nei confronti dell’Unione che a suo tempo affossarono la Costituzione - che cambiando guida in questo momento la Francia rischia di perdere la leadership mantenuta fin qui ed essere messa, per così dire, nell'angolo e che le promesse di Hollande, per allettanti che possano sembrare, sono comunque destinate a rimanere lettera morta.

Il problema di Sarko è insieme di accettabilità e di credibilità. Di accettabilità, perché durante i suoi primi cinque anni di presidenza ha irritato molta gente con i suoi atteggiamenti e la sua arroganza; di credibilità, perché - per colpa anche delle circostanze economiche avverse - ha realizzato solo una piccola parte delle riforme che aveva promesso. Con lui al comando, la Francia ha perduto la tripla A, ha visto crescere a dismisura il deficit di bilancio e si ritrova con una disoccupazione perfino superiore alla nostra.

In compenso, ha dimostrato capacità di iniziativa e anche di comando e - come abbiamo visto - ha navigato bene in Europa. Agli italiani, per tante ragioni, non è simpatico, ma anche Monti, come la Merkel, dovrebbe fare il tifo per una sua (tutt’altro che facile) rimonta.

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