«Che stupida, rifiutai la parte della Bond girl...»

Santa Fe Di bellezze se ne aggirano parecchie nelle stradine di Bonanza Creek. Ma Ornella Muti dà ancora la paga a molte. Tutta vestita di nero, cappellino, maxigonna, ombrellino, borsetta, passeggia vezzosa tra la banca e la gioielliera. Quand’ecco si blocca di colpo davanti a un marcantonio di due metri, cappellaccio scuro e barba incolta. È lo sceriffo Basehart, interpretato da Paul Sorvino. La Muti, nella finzione di Doc West è Debra Tricky Dowing, ha la parte di una giocatrice professionista, che dall’antico socio vorrebbe una mano per barare al torneo di poker, intascando così il sostanzioso montepremi.
Tutt’intorno ci saranno una quindicina di costruzioni, la banca, il maniscalco, la posta, il saloon, la merceria. Ma bisogna entrare in ogni edificio per capire la scrupolosità con cui sono stati creati gli interni. «Non come in certi film da quattro soldi, dove apri la porta e dentro c’è il vuoto» - fa notare con un certo orgoglio il produttore Guido De Angelis, quello che anni addietro scriveva le tambureggianti musiche per le sganasson comedies del tandem Terence Hill-Bud Spencer. Ora che a comporre le colonne sonore è rimasto il fratello Maurizio, che di grattacapi preferisce averne il meno possibile, Guido conduce il carrozzone su questi, ed altri, sentieri selvaggi, avendo al fianco Anselmo Parrinello come produttore esecutivo. Una coppia che fa le cose in grande, sul copione di Doc West, scritto da Marco Tullio Barboni e sceneggiato da Marcello Olivieri e Luca Biglione.
Per comprendere la minuzia dei particolari, basta un’occhiata: nella merceria sono ben allineate le cappelliere, alla posta spuntano i timbri, nel saloon tra i quattro tavoli da poker, fa bella mostra di sé una sputacchiera. Come quella dove uno titubante Dean Martin, giusto mezzo secolo fa, raccoglieva Un dollaro d’onore. Guarda caso, il western più bello di sempre, secondo quanto certifica in prima pagina una coloratissima rivista, che più specializzata non si può, American Cowboy, con foto a tutto campo di John Wayne.
Un grandissimo con cui la nostra Ornella non ha potuto lavorare. Non solo per i lampanti motivi anagrafici, ma perché lei di western non ne aveva fatti mai. «Questo ruolo mi affascina, anche se non sono una giocatrice - spiega - a differenza di mio padre. Partecipo al torneo di poker, che ha in palio duemila dollari, cercando di sottrarli all’ospedale che si dovrebbe costruire con quei soldi. Sì, sono un po’ cattiva, è un personaggio che mi diverte moltissimo interpretare. Somigliarmi? Nemmeno un po’».
«La mia carriera? Non mi lamento - conclude la Muti, che ora produrrà il restauro di Tommy Dabbit, l’episodio felliniano di Tre passi nel delirio, tratto da Poe. Qualcosa da rimproverami ce l’ho, comunque non mi piango addosso, non mi piace. Ah, sì, resta il rimpianto di una grande occasione perduta.

Nel 1981 mi avevano offerto il ruolo della Bond girl di Roger Moore in Agente 007 - Solo per i tuoi occhi, ma io dissi di no perché m’impuntai sul truccatore, volevo assolutamente il mio. Così la parte toccò a Carole Bouquet». «Adesso i piedi non li punto più, purché non mi facciano andare a cavallo».

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