Viterbo - Occhi rossi, lucidi per le lacrime, i parenti delle quattro vittime dell’esplosione della «pirotecnica Cignelli» escono dai cancelli del piccolo stabilimento di Madonna delle Macchie. La giornata di sole contrasta con il dolore disegnato sui volti. Superato il posto di blocco presidiato dai carabinieri, ci sono decine di amici e conoscenti di Castiglione ad attenderli. Tra telecamere e taccuini sono molti gli abbracci e poche, appena sussurrate, le parole di conforto.
Difficile trovare qualcosa da dire quando un botto cancella due famiglie in un secondo. «I Cignelli erano pienamente e felicemente inseriti nella nostra comunità, con i loro fuochi pirotecnici hanno portato allegria in molte città, hanno lavorato anche per il nostro comune», spiega Mirco Luzi, sindaco di questo paese di 2.300 anime arroccato su un promontorio roccioso. «Se li conoscevo personalmente? Certamente sì. E proclamare il lutto cittadino - conclude - è il minimo gesto per stringerci attorno ai loro familiari».
Proprio ai ragazzi rimasti orfani va il pensiero di Bruno Tirinnanzi, il fratello di Bettina. Avvolto in un giaccone scuro, si guarda intorno spaesato, incredulo. Racconta la storia dell’azienda, un’avventura nata quasi mezzo secolo fa e azzerata in una mattinata di sole. «Ho perso mia sorella, non la vedrò più. È una cosa terribile. E quello dei figli è un dramma nel dramma. Giorgio e Bettina ne lasciano due, Giandomenico, il superstite, e Fabiana. Mia sorella Emilia è andata a trovare il ragazzo in ospedale, povero lui, l’esplosione gli ha bruciato un lato del corpo. Renato e Rossana di figli ne hanno addirittura tre: due ragazze di 11 e 17 anni e un ragazzo di 15. I parenti gli stanno vicino, ma questa è una brutta botta. Anche per il loro nonno, Bruno Cignelli, che oggi ha perso fratello, cognata, figlio e nuora, non è un momento facile».
In città, nel caffé di piazza del Poggetto, la gente guarda allibita in tv le immagini dei telegiornali. La ragazza bionda dietro al banco scuote la testa: «Non riesco a crederci, è assurdo. I cinque ragazzi li vedo spesso. Qui non siamo nemmeno in tremila, naturalmente ci conosciamo tutti, ci si vede ogni giorno, è troppo strano che da un momento all’altro ti capiti una cosa del genere, due famiglie sconvolte, cinque ragazzi senza più padre né madre».
E che i Cignelli maneggiassero esplosivi invece di lavorare le vigne, come molti in questo paese dalle nobili tradizioni enologiche, non rendeva in alcun modo più prevedibile la tragedia di ieri. «Sì, certo, fabbricare fuochi d’artificio era un lavoro pericoloso, e Renato ne era consapevole», racconta dietro gli occhiali scuri Angelo, capelli lunghi, brizzolati, amico di vecchia data del titolare dell’azienda. «Ma proprio la consapevolezza del pericolo faceva sì che la prudenza e le precauzioni fossero massime: lì oltre a lui e a Giorgio ci lavoravano le loro mogli, i loro figli. Non era mai successo niente, né nella preparazione né durante gli spettacoli, meravigliosi e innocui, che hanno incantato tante città. E non sarebbe dovuto succedere mai niente».
Qualcuno racconta che, forse, nel laboratorio stavano trasformando fuochi pirotecnici prodotti in Cina. «Non lo so, potrebbe anche essere vero - spiega un altro amico di Renato - ma quello che è certo è che le misure di sicurezza erano sempre al massimo. Se a far saltare in aria tutto è stato qualche prodotto difettato, o se invece ci si è messo l’imponderabile, be’, questo lo scopriranno le analisi di laboratorio. Ma personalmente credo sarà difficile dare una risposta al perché di queste quattro morti. So soltanto che ci mancheranno, moltissimo».
«Erano buoni, gentili, sempre disponibili, persone deliziose e ricche di umanità.
Erano amici», sospira una signora, prima di interrompersi tra i singhiozzi per poi infilarsi in automobile. «C’è una messa di suffragio in paese, è venuto il vescovo di Viterbo, era in visita a casa dei Cignelli, ora devo andare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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