(...) Mi basta già il titolo per chiudere il discorso. Perché nel giorno in cui si pretende di celebrare lunità dItalia, si punta sulla sua divisione. Perché cè unItalia che piace al Secolo XIX. Ed evidentemente cè unItalia che non gli piace, nonostante esista e credo faccia ancora parte dellItalia unita. A essere malizioso, potrei dire che certi valori assolutamente condivisibili mi sembrano descritti con un messaggio subliminale che ha un obiettivo preciso. Non mi interessa. Ma perché dividere i buoni dai cattivi, i belli dai brutti? Ma come? Tanti bei discorsi sulla tolleranza, sulla fratellanza, sulluguaglianza, e poi tiriamo su gli steccati in copertina?
Non mi interesserebbe neppure sapere cosa cè dentro quella copertina. Perché so che dentro cè solo una parte dItalia, non tutta. Poi, certo, vedere subito sotto il titolo, a rappresentare «lItalia che ci piace» una donna con i suoi figli e basta, può ingenerare qualche curiosità. Una curiosità svelata sul dorso della copertina: «Il papà che non cè e può succedere», viene spiegato per descrivere la famiglia della signora Elisabetta e dei figli Lorenzo e Matilde. La stima per la signora Elisabetta è totale e incondizionata. A prescindere dal motivo per il quale «il papà non cè». Però, qualunque sia lorigine di questa «assenza», non riesco a farmi piacere, come Italia ideale, proprio quella rappresentata da una famiglia senza padre. Non è un giudizio di merito, non mi permetterei mai. È un velo di tristezza perché vorrei sapere due bimbi con il loro papà accanto, una donna con il suo marito (qualcuno preferisce compagno? e sia) accanto. Ma nella mia Italia, in quella che mi piace, ci sono tutte le famiglie. Quelle con e quelle senza papà. Quelle con e quelle senza mamma. Quelle con e quelle senza figli.
NellItalia che merita la mia stima, nellItalia che mi piace, cè la signora Elisabetta e ci sono anche tanti signori Mario che magari si svegliano alla stessa ora, faticano allo stesso modo, e magari sono alla disperazione perché versano tutto quello che guadagnano per mantenere la moglie e i figli che non hanno più accanto. E anzi soprattutto hanno negli occhi la tristezza per non poterli abbracciare. Non mi interessa sapere di chi è la «colpa», se una colpa cè. Mi interessa sapere che anche loro fanno parte dellItalia che merita sostegno, stima, rispetto e non che non trovano spazio nella copertina del Secolo. Mi «piacerebbe» unItalia senza queste tristezze, ma visto che inevitabilmente ci sono, preferisco non separarle con una copertina che le esclude.
Anche perché se sul dorso della copertina cè scritto che «può succedere» che una famiglia sia priva della figura del papà sorridente, senza precisarne il motivo, allinterno della copertina ci pensa Maurizio Maggiani a dettagliare, in nome e per conto del Secolo XIX, quale sia l«Italia che piace». Lo scrittore sceglie i 13 «momenti imperdibili» che hanno fatto lItalia unita, che rappresentano la parte da salvare, le pietre miliari di questi 150 anni. Ognuno può scegliere i suoi personaggi unificatori, i suoi eroi, preferirne uno allaltro, ma cè almeno un punto che difficilmente può essere considerato elemento di unione, o un valore assoluto e condiviso. È quello che Maggiani mette cronologicamente al nono posto: il divorzio. Che per sua stessa essenza è simbolo di divisione. Tra due persone, tra due parti dItalia. E Il Secolo viene schierato con una parte, sceglie quale sia la parte dItalia da esaltare. Non giudico la scelta della parte.
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