(...) metterebbe del suo, condendo il tutto di ogni volgarità a disposizione nel dizionario italiano, con estensione nei vari dialetti.
Perché, vedete, nello spettacolo di Zalone, le «parole del gatto» come si chiamano a Genova, sono la normalità. Tanto che, depurato dalle volgarità, uno spettacolo lungo due ore e mezza abbondanti, si ridurrebbe a pochi secondi. E Checco è il primo ad ammetterlo e a riderci sopra, ironizzando sul suo linguaggio e sulluso che fa delle parole.
Però, posso dirlo? Proprio questo gioco ostentato sulla volgarità, fa del Resto umile tour uno spettacolo per nulla volgare. Perché luso delle parole di Zalone è lo stesso di Dante nel raccontare la flatulenza, che Checco chiama «scoreggia» e il Sommo Poeta fotografò con quel fantastico: «Ed elli avea del cul fatto trombetta». Insomma, siamo alla volgarità programmatica. Con una doppia chiave di lettura: i volgari ridono per la volgarità, i raffinati ridono perché la volgarità è esorcizzata. E così, fra un turpiloquio e laltro, viene fuori tutta la cultura dellattore pugliese, oltre che la sua preparazione musicale, veramente straordinaria, capace di cavalcare dal pop al jazz, dalla samba alla taranta.
Come dire? Qui siamo nei dintorni di Rabelais e di Ruzante, di Teofilo Folengo e dei Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno di Giulio Cesare Croce. Ma la cosa straordinaria è che si può benissimo non aver sentito nemmeno nominare nessuno di questi e godersi ugualmente lo spettacolo.
Perché la forza di Luca Medici (il vero nome di Checco) è la semplicità, il saper essere esattamente uguale a quelli che stanno in platea. Tutta gente semplice, dalle facce perbene (alcuni li conoscevo personalmente e perbene lo sono davvero, non solo in volto), tutta gente che era lì semplicemente per divertirsi, senza chiedere nientaltro alla serata. Ed è tornata a casa con il bottino pieno.
Niente politici, ad esempio. Lunico che ho visto, con sua moglie, era lassessore alla Sicurezza e alla Protezione Civile Francesco Scidone. Uno con cui incrociamo spesso e volentieri le lame dialettiche su queste pagine, per la sua mania di voler sempre rispondere a tutti su tutto, difendendo spesso lindifendibile. Però, a parte il fatto che un assessore che risponde alle lettere dei lettori del Giornale è sempre unottima cosa e soprattutto che è uno dei pochissimi a farlo, Scidone è comunque una persona comune. In mezzo a suoi colleghi che invece si vantano di essere «una persona Comune», ma con la maiuscola, identificando se stessi con listituzione. Poi, ribadisco, non condivido la stragrande maggioranza delle cose che dice lassessore dipietrista, ma è uno (lunico della giunta) che si sporca gli stivali il giorno dellalluvione a Sestri Ponente, che è in giro con quelli che spalano il giorno della nevicata e che ci mette la faccia. Ruspante, incazzoso, sanguigno e umorale al punto che spesso si pente dopo dieci minuti delle cose che scrive. Uno che fa molto personaggio di Checco Zalone. Comunque, ribadisco, uno con le scarpe sporche e consumate e non con le Tods con tutti i pallini al posto giusto.
Ecco, Scidone è uno che - quando non si lascia prendere da afflati dipietristi o vincenziani e, certo, gli capita un po spesso - sa sporcarsi le mani e le scarpe. E questo lo fa lo spettatore ideale di Checco Zalone. Che è un poeta del politicamente scorretto: nella sua satira pesantissima, ma leggera, se la prende giustamente con Berlusconi. Ma, allo stesso modo, prende in giro due santini del presepe dei «buoni» come Nichi Vendola e Roberto Saviano. Non ci sono colonne dErcole, ce nè per tutti.
Questo non essere politically correct è la straordinaria forza di Checco, quello che lo pone lontano anni luce dai predicatori che fingono di essere comici e chiamano «satira politica» gli insulti. Che cosha di satira politica dire che Berlusconi è mafioso? Assolutamente nulla, ovvio. Eppure, lhanno chiamata così.
Invece, il comico pugliese fa il suo lavoro: il comico. Ma, nel suo essere «uno di noi» sarebbe perfetto anche come sindaco di Genova. E ci sono sue battute studiate apposta per la serata di Fiumara, come il Cassano che dice: «Qui a Sampdoria mi trovo davvero bene», i giochi linguistici sulla traduzione della parola che Checco usa di più o il racconto del pranzo al ristorante genovese: «Ho mangiato in una grande sala. Ci saranno state ottanta persone, ce ne fosse uno che mi ha cagato... Di solito mi saltano addosso, che grande popolo che siete, gente che si fa i fatti suoi». Oddio, non dice proprio «fatti», ma non stiamo troppo a sottilizzare.
Insomma, Luca Medici-Checco Zalone sarebbe un perfetto sindaco di Genova. E potrebbe avere già un ottimo assessore alla cultura: lorganizzatore della data genovese del suo spettacolo Vincenzo Spera, il patron di Duemilagrandieventi, colosso dei concerti allombra della Lanterna. Del resto, Spera lo farebbe meglio dei vari andrearanieri e margheriterubino che circondano Marta. Non che sia difficilissimo, ma farebbe molto meglio.
Perché, vedete, Spera è uno che riesce a fare cultura popolare - come lo è anche il Resto umile tour - rischiando del proprio, generalmente guadagnandoci sopra (e non è certo un reato), ma senza tirarsela da uomo di cultura.
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